In cosa crede chi non crede?


Trovare punti comuni tra mondo laico e mondo cattolico sui fondamenti ultimi dell’esistenza: è questo il tentativo che percorre il carteggio tra Umberto Eco e Carlo Maria Martini. Un tentativo che vorrebbe andare oltre le semplificazioni cui è spesso sottoposta la tradizione cristiana quando si parla in particolare di etica. Tutti infatti si dichiarano disponibili all’altruismo, alla condanna del razzismo e della pena di morte, ma quando si arriva a casi limite il dialogo si arresta e le posizioni si irrigidiscono. Come fare per andare oltre, quali nozioni di speranza e di responsabilità sono utili per approfondire la discussione?
Prendendo l’avvio da temi sempre di attualità – il valore della vita, il ruolo delle donne nella Chiesa, il millenarismo – i due autori forniscono alcune coordinate precise. 1) Coltivare il senso della direzione della storia, opponendosi al concetto della fine di essa e sostituirlo con quello di “un fine” che illumini e dia significato al lavoro del tempo presente. 2) Fare chiarezza quando si parla di difesa della vita. Bisogna superare l’ambiguità del termine usato in senso ampio e concentrarsi su un’accezione che riguarda la sola vita umana. E su questo punto non bisogna nascondersi le difficoltà del dialogo, perché per un credente la vita che ha un valore non è quella fisica (bíos) né quella psichica (psichè), ma “quella divina comunicata all’uomo, la vita di una persona chiamata a partecipare alla vita di Dio stesso”. Il terreno su cui ci si può incontrare è quello “dello stupore che si prova di fronte a un volto, questo inaudito centro di alterità, da guardare, rispettare, accarezzare”. 3) Partendo dal reciproco rispetto delle posizioni, ci si deve poi interrogare sugli elementi che hanno generato la Chiesa e, dal momento che essa stessa non è ancora giunta alla piena comprensione dei misteri che celebra, bisogna avere come riferimento la prassi e l’esempio di Gesù Cristo. Laici e credenti si possono incontrare sul terreno di un’etica che non sia vissuta come costume o necessità sociale, ma sia legata a principi immutabili, soprattutto quando si agisce nei confronti del prossimo. Nel confronto tra laici e credenti si può anche introdurre la stessa prassi che ha consentito un fecondo dialogo tra religioni che riconoscono principi generali senza rinnegare le specifiche credenze. Con l’incontro tra l’etica veicolata dalla rivelazione biblica e “l’etica naturale” del laico, che parla con una voce immanente, è possibile che la spinta verso l’altro risulti sempre prevalente. Ma contemporaneamente occorre depurare la critica della religione da una concezione degradata di Dio e ridurla a una corretta lettura della rivelazione biblica.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1996
Recensito da
Anno recensione 1997
Comune Roma
Pagine 148
Editore