Rovine e macerie. Il senso del tempo


«L’opera racconta il suo tempo, ma non lo racconta più in modo esauriente. Coloro che la contemplano oggi, quale che sia la loro erudizione, non avranno mai lo sguardo di chi la vide per la prima volta». Il vuoto e lo scarto tra la percezione scomparsa e la percezione attuale dell’opera sono effetti evidenti dell’epoca in cui viviamo, che l’antropologo francese definisce col neologismo di surmodernità, o nuova modernità. La surmodernità vive e si costruisce sul presente: viviamo in un’epoca dell’istantaneità, della velocità di trasmissione dei messaggi e delle informazioni, siamo di fronte a una sorta di “messa al presente”, di présentification di tutti i fenomeni. Il culto del presente perpetuo elimina ogni pensiero proiettato sulla dimensione del futuro – è stata annunciata la fine dell’epoca delle Grandi Narrazioni – e al contempo ha smarrito la dimensione cumulativa della storia, quella ottocentesca, dove al tempo si aggiungeva il tempo, dando luogo al concetto di passato. Questa uniformità temporale fa sentire i suoi effetti anche a livello spaziale, di organizzazione urbanistica e architettonica degli spazi: la surmodernità non produce infatti rovine, ma solo macerie, sempre rimovibili per lasciare il posto alla ricostruzione (come mostra il caso tragicamente esemplare delle Twin Towers). Contemplare le rovine, siano esse quelle delle “lunghe mura” che collegavano Atene al Pireo, o quelle di Tikal in Guatemala, e di Angkor in Cambogia, significa fare un’esperienza del tempo puro, non databile, ed equivale quindi a riprendere coscienza della storia. La nostra epoca “non ha più il tempo” di produrre rovine, monumenti della memoria, ma macerie, simbolo dell’aspirazione a un eterno presente: «l’architettura contemporanea non anela all’eternità di un sogno di pietra, ma a un presente “sostituibile” all’infinito». Augé ritorna quindi sul concetto di non-luogo (già affrontato nel saggio Disneyland e altri non-luoghi), definito come spazio indipendente da una localizzazione precisa e da un radicamento definito nella storia e nella memoria: sono non-luoghi gli aeroporti, le autostrade, i grandi centri commerciali, i parchi tematici come Disneyland. Autori stigmatizzati dei non-luoghi sono gli architetti “vedettes”, che mirano ad attirare lo sguardo dei “consumatori” del pianeta, in un’operazione di “messa in immagine” e di spettacolarizzazione della storia. Quello che resta però alla fine di questo processo non è storia, né passato, né memoria, ma solo spazi di solitudine aperti a un futuro ancora ignoto, in attesa di uno sguardo e di una parola che rendano loro una dimensione simblolica e sociale.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Marc Augé

    Directeur d'études in Antropologia - Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris

Anno pubblicazione 2004
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Torino
Pagine 144
Editore