Democracies di Artur Zmijewski

20 video-documentari sulla democrazia di Artur Zmijewski(Polonia, 2009, 146')Prima proiezione italiana

  • da venerdì 12 Febbraio 2010 a mercoledì 28 Aprile 2010 - 14.30 e 17.00
Centro Culturale

Artur Zmijewski (Varsavia, 1966) è uno dei protagonisti di maggior spicco fra i tanti emersi nell’ultimo decennio in Polonia, tradizionalmente uno dei Paesi dell’Est Europa più generosi nei confronti dell’arte. Allievo di Grzegorz Kowalski come Pawe Althamer e Katarzyna Kozyra, Zmijewski pone al centro della sua ricerca artistica lo studio dell’uomo e dei suoi comportamenti in spazi pubblici secondo un metodo definito "didattica della partnership" che, muovendo dall’ambito privato, personale e intimo dei singoli, ne esamina la gestualità e le reazioni una volta messi in contatto con il mondo esterno. La sua, tuttavia, è un’osservazione distaccata che colpisce proprio perché si astiene dal proporre giudizi, rimandando alla sensibilità dello spettatore ogni riflessione sull’esito di quelli che sono veri e propri esperimenti sociali. Esemplare, in questo senso, il video Repetition, replica di un esperimento condotto nel 1971 dal professor Zimbardo alla Stanford University, nel quale un gruppo di volontari viene isolato e diviso fra guardie e detenuti, con lo scopo di rilevare le reazioni di persone che, pur provenendo dal medesimo ambiente, sono costrette a ricoprire ruoli diversi. In Democracies, realizzato nel 2009, Zmijewski analizza attraverso una serie di brevi documentari la varietà di sentimenti nazionalistici così come emergono in pubbliche manifestazioni che vanno dalla semplice dimostrazione o parata politica, dalla celebrazione o ricostruzione di un importante evento storico sino alla spontanea aggregazione in occasione di un evento sportivo: dai funerali di Jörg Haider a Klagenfurt al Campionato Europeo di calcio a Berlino. Senza una precisa traccia narrativa, e dunque ben lontano dall’ordinata e ostinata ricerca della verità che contraddistingue il servizio giornalistico, Zmijewski si concentra sull’uomo o, ancor meglio, sulle reazioni istintive, elementari per non dire – in alcuni casi – primitive, che contraddistinguono il suo "stare" con gli altri, il suo partecipare alla vita sociale di una comunità.

Filippo Maggia

Prima che per comunicare, le parole sono necessarie per comprendere il mondo, per definirne i contorni, per limitarne l’assolutismo. Nel tempo, però, le parole si logorano, invecchiano, perdono il proprio senso anche se continuano a vivere e essere usate, senza tuttavia significare più nulla. Queste parole, ormai fossili del loro passato, costruiscono solo schermi opachi e vuote immagini, diventano ideologia ammantata di suadente autorità. Coloro che le usano parlano di niente.
La parola ‘democrazia’ rischia oggi di appartenere a questa categoria di parole fossili, soprattutto se utilizzata in senso edificante o rassicurante – come quasi sempre accade nel linguaggio dei media e della politica. Per sopravvivere a se stessa e al proprio monumento, la parola ‘democrazia’ deve invece essere letta con spirito critico, graffiandone la superficie senza avere paura di guardare il suo «volto di Medusa» per giungere a un «cuore di tenebra» carico di verità sgradevoli e di contraddizioni. Ma chi ha oggi la forza, l’indipendenza, l’audacia, la sfrontatezza di proporre una tale operazione? Da dove prende inizio la battaglia contro il conformismo culturale?
Con il video Democracies Artur Zmijewski si incammina nell’intricata foresta dei (non) significati di ‘democrazia’ per giungere a illuminarne una radura nichilistica. Lo scavo artistico qui non è storico, ma archeologico: finzione e realtà lavorano insieme per costruire un linguaggio non pietrificato, sobrio e asciutto, alieno da giudizi. Corpi in mostra di sé che protestano giustizia, corpi dimenticati e invisibili, corpi senza potere che reclamano riconoscimento ma non espongono ragioni argomentate: attraverso i loro racconti esprimono tensioni, volontà, passioni, paure, pulsioni, piaceri da consumare e che consumano. Sono queste facce sconosciute, che entrano ed escono dallo specchio dell’età globale, sono queste vite senza nome a reclamare democrazia. Una democrazia non procedurale, non istituzionale, non partecipativa, bensì uno spazio di espressione forse senza regole, probabilmente senza un fondamento, apparentemente senza uno scopo che non sia l’autoaffermazione. Qui democrazia è rivendicazione; rivendicazione di identità più che di potere, di essere più che di divenire, di atto più che di potenza: dunque, una democrazia antimoderna. Ciò che vediamo non sempre ci conforta: pur essendo bene, la libertà produce anche il male, non solo il bene. E spesso rifiuta l’eguaglianza. Niente di meglio per i poteri costituiti.

Carlo Altini

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