Video integrale
domenica 09 febbraio 2014 ore 16.00
Replica straordinaria: sabato 8 febbraio, ore 17.30
Per prenotare, fino alle ore 19 di venerdì 7 febbraio: 059.421240 e cc@fondazionesancarlo.it
a cura di Claudio Longhi
testi scelti da Carlo Altini
con Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Eugenio Papalia
e con Olimpia Greco, fisarmonica
regista assistente Giacomo Pedini
Terzo capitolo della trilogia platonica nata dalla collaborazione tra la Fondazione Collegio San Carlo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione – trittico inaugurato con la messinscena de Le leggi e proseguito con quella de Il sofista -, l’allestimento della Repubblica si colloca a suggello ideale, e a provvisoria ricapitolazione, di un complesso discorso filosofico-teatrale proposto alla cittadinanza modenese, chiamata a riflettere radicalmente, nella duplice veste di spettatrice e di “coro ideale”, sulla straordinaria energia etica delle parole dei classici, ambiguamente sospese tra attualità e inattualità. La Repubblica, dunque. Politéia. Al riparo dal confuso e frastornante vociare dell’antipolitica del nostro oggi, lontani dalle nostre città ossessionate dalla “questione morale”, una lunga, affascinante, antichissima inchiesta intorno al buon funzionamento della polìs. E quale luogo migliore per condurla e raccontarla, se non il teatro? Il teatro, da sempre specchio dialettico-rappresentativo della città, luogo in cui la comunità rappresenta se stessa e perciò stesso si ri-conosce in un continuo e alterno processo di consolidamento e messa in discussione dei propri valori fondativi, pare ancora oggi l’arena perfetta in cui dibattere insieme la direzione da imprimere al nostro futuro di cittadini – in un serrato confronto tra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, tra le responsabilità comuni e i doveri del singolo. Tante le domande attorno alle quali si muovono Socrate e i suoi compagni di viaggio, nella continua ricerca di risposte sulla vera natura della filosofia e sul ruolo spettante agli intellettuali nel consesso delle umane genti. La città ideale, in cui ogni uomo trovi finalmente giustizia, è davvero realizzabile? Chi dovrebbe farsi carico della sua costruzione? E di fronte all’inerzia delle masse, diffidenti e sempre più indifferenti, quale compito dovremmo immaginare per l’uomo “giusto”? Dice il sommo Maièuta: «Se uno, come uomo caduto fra le belve, non volesse cooperare all’ingiustizia […] e se morisse prima di avere fatto del bene allo stato o agli amici, sarebbe inutile a sé come agli altri». Forse anche oggi la grande sfida dell’homo philosophicus sta proprio nella missione educativa socratica, prospettiva concreta per guidare gli uomini – con divina pazienza e disincantato realismo – alla conquista della buona politica. Mettiamoci in viaggio, allora…
– Scusi, signore. – Mi dica. – È di queste parti lei? – Abito qui dietro Piazza… – Perfetto! Allora lei, qui, si sa orientare! Da che parte andiamo per la città ideale?
Claudio Longhi
Alla fine del quarto libro della Repubblica Socrate ha praticamente assolto il compito che gli era stato richiesto dai suoi interlocutori: dimostrare che la giustizia intesa come benessere dell’anima è sempre preferibile all’ingiustizia e che la giustizia è desiderabile non tanto per le sue conseguenze quanto in se stessa. Questo risultato, all’inizio del quinto libro, lo pone di fronte a un nuovo problema, al quale non può evitare di rispondere: è possibile costruire una città giusta a partire dalla trasformazione di una città esistente? Purtroppo la discussione dei libri precedenti, pur dimostrando la desiderabilità della giustizia in sé, intesa come «modello», aveva mostrato chiaramente che l’essere umano giusto e la città giusta non sono perfettamente giusti ma sono solo approssimazioni alla giustizia. La giustizia, infatti, non può essere identificata né con la tradizione, né con la legalità: se coincidesse con la tradizione, la giustizia equivarebbe al rispetto dei “costumi” ancestrali; se coincidesse con la legalità, la fonte della giustizia sarebbe sempre la volontà del legislatore, sia esso tiranno usurpatore o assemblea democratica. Inoltre, ciò che gli uomini fanno e dicono sulla giustizia nella vita quotidiana è contraddittorio e all’accordo universale sulla distinzione linguistica tra giusto e ingiusto non segue, e non può seguire, l’accordo sul contenuto del giusto. La giustizia intesa come benessere dell’anima si pone dunque come modello per l’uomo giusto e per la città giusta, ma in se stessa non è realizzabile perché è una «forma», un’«idea». Anche la città giusta, nel suo essere conforme al benessere dell’anima, può esistere solamente «a parole». È così che, lungi dall’essere un trattato di filosofia politica che mira a delineare la struttura di una società giusta, la Repubblica mostra l’impossibilità (o, almeno, l’estrema improbabilità) della città giusta. Ancora oggi, a distanza di venticinque secoli, Platone ci invita a riconoscere e a giustificare il carattere moderato, non radicale, delle richieste che possiamo rivolgere alla vita politica: ogni società politica è una società particolare, fondata su una «nobile bugia», su un «mito» che è credenza, non conoscenza, e che in quanto tale rende difficile la realizzazione dell’unione tra verità, giustizia e legge. La città giusta è dunque impossibile, perché è impossibile che la filosofia possa essere capace di sconfiggere la resistenza radicata nell’«amor proprio» degli esseri umani, nella loro dipendenza dai bisogni materiali del corpo.
Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria
Per prenotazioni (fino a esaurimento posti)
Fondazione Collegio San Carlo
tel. 059.421240
dal lunedì al venerdì, ore 10-13; 15-18
cc@fondazionesancarlo.it