Le istituzioni del commercio mondiale

Tra protezionismo e libero scambio

  • Andrea Ginzburg

    Professore di Istituzioni di economia - Università di Modena e Reggio Emilia

  • venerdì 13 Aprile 2007 - 17.30
Centro Culturale

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Si parla spesso, oggi, di crisi del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), cioè dell’istituzione creata nel 1995 per liberalizzare e regolare, in un’ottica multilaterale, gli scambi internazionali. Dopo il fallimento della conferenza di Seattle (1999), l’Agenda per lo sviluppo approvata dalla conferenza di Doha (2001) avrebbe dovuto avviare un nuovo ciclo di negoziati maggiormente aperto alle richieste dei paesi in via di sviluppo. Anche le successive conferenze di Cancun (2003) e Hong Kong (2005) si sono rivelate tuttavia fallimentari, al punto che i negoziati sono stati, almeno ufficialmente, interrotti. Come analizzare la crisi di un’istituzione internazionale come il WTO nell’epoca della globalizzazione? L’opinione prevalente fra gli economisti si richiama alla teoria delle scelte pubbliche. Parte dalla premessa, fondata sulla teoria economica generalmente accolta, che la liberalizzazione degli scambi avvantaggerebbe i consumatori di tutti i paesi coinvolti nello scambio, sia in termini di minori prezzi dei beni e servizi di consumo, che di maggiori opportunità di scelta. Alla liberalizzazione, si oppongono, tuttavia, istanze protezionistiche, derivanti dall’interazione fra ceto politico e gruppi di pressione che sarebbero minacciati dall’apertura commerciale. In questa prospettiva, l’istituzione internazionale fornirebbe l’elemento di disciplina necessario per sconfiggere o contenere queste posizioni. La crisi del WTO corrisponderebbe quindi alla sconfitta, nel “foro negoziale” del  WTO, dei difensori del bene pubblico universalistico “libero scambio” e sancirebbe invece l’affermazione dei portatori di interessi particolari. Si sosterrà che questa interpretazione, del tutto astorica, non tiene conto di due caratteristiche specifiche dell’attuale fase di globalizzazione, la frammentazione dei processi produttivi, e la “liberalizzazione” asimmetrica, che ha privilegiato particolari settori e ambiti. In queste condizioni, il linguaggio e la pratica del liberismo, che dovrebbero tutelare un’ astratta figura di consumatore, aprono la strada, invece, per molti, a concrete riduzioni di reddito e al monopsonio dei produttori e dei grandi distributori, cioè alla situazione in cui un solo soggetto rafforza il suo potere di mercato acquistando da molti venditori in concorrenza fra loro. Ne derivano grandi e crescenti disuguaglianze di reddito, sia fra paesi che all’interno dei paesi. Occorre ripartire da Ricardo, e da Karl Polanyi.

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