Libri, sette lezioni sull'obbedienza

Si intitola 'Obbedienza' e prende in esame il rapporto tra legge di Dio e legge dell'uomo nelle culture religiose il nuovo volume pubblicato dalla Fondazione San Carlo di Modena e dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna che sarà presentato...


Si intitola "Obbedienza" e prende in esame il rapporto tra legge di Dio e legge dell'uomo nelle culture religiose il nuovo volume pubblicato dalla Fondazione San Carlo di Modena e dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna che sarà presentato martedì 19 dicembre alle 17.30 nella chiesa auditorium di via San Carlo.

Dopo le introduzioni di Ruggero Benassi, vice presidente della Banca popolare dell'Emilia-Romagna, e Roberto Franchini, presidente della Fondazione San Carlo, interverranno i curatori Michelina Borsari e Daniele Francesconi e Armando Torno, editorialista del Corriere della Sera.

In 208 pagine, accompagnate da oltre 200 immagini a colori, il volume raccoglie i testi delle lezioni pubbliche svolte lo scorso anno al San Carlo da Salvatore Natoli, Francesca Calabi, Mauro Pesce, Mauro Zonta, Glauco M. Cantarella, Paolo Prodi e Silvio Ferrari.

"La questione dell'obbedienza, con il dualismo tra leggi umane e leggi cui si attribuisce origine divina – spiegano i curatori – diviene nuovamente cruciale nel momento in cui le religioni, tornando a occupare la scena pubblica, spingono verso una ridefinizione delle fonti dell'autorità e dei confini della lealtà politica".

Il saggio del filosofo Salvatore Natoli fissa il confine filosofico e l'origine dell'obbedienza, mostrando come essa sia virtù in senso aristotelico, cioè attitudine a creare il bene attraverso la costruzione di relazioni misurate e ben ponderate. Come ogni virtù, anche l'obbedienza è un compito, non un dato, e si realizza unicamente nell'esercizio.

Focalizzandosi sul giudaismo ellenistico, in particolare sulle opere di Filone di Alessandria, il saggio della storica della filosofia Francesca Calabi mostra la fecondità della relazione tra il tema greco della Legge come ordine della natura e misura cosmica e la problematica biblica della Rivelazione.

Muovendosi su un arco cronologico non troppo dissimile, ma in diverso contesto, il saggio dello storico del Cristianesimo Mauro Pesce propone una decostruzione storica dell'immagine di Paolo come pilastro del cristianesimo elaborata dalla tradizione ecclesiastica. Paolo non è un cristiano, ma un fariseo rimasto tale. L'analisi sociologica e dottrinale delle chiese paoline mostra come esse non facessero parte di una nuova religione, ma fossero un gruppo tra altri sorto all'interno della religione giudaica.

Ai rapporti tra filosofia e diritto nel pensiero ebraico medievale è dedicato il saggio nel quale lo storico della filosofia ebraica Mauro Zonta ricostruisce un processo di razionalizzazione dei precetti della tradizione talmudica, iniziato nel IX secolo e culminato nell'opera di Maimonide, nel XII. Il saggio dello storico del medioevo Glauco M. Cantarella offre, invece, un'indagine sull'opera riformatrice di papa Gregorio VII, intenzionato a moralizzare e disciplinare le procedure di accesso alla carriera ecclesiastica per superare il complesso sistema di negoziazione delle cariche. Questa strategia, che fa perno sul diritto canonico, provoca dinamiche conflittuali prima con i vescovi tedeschi e poi con Enrico IV.

L'introduzione del diritto canonico in alternativa a quello civile – osserva lo storico dell'età moderna Paolo Prodi nel suo saggio – avvia una dialettica fra istituzioni concorrenti che instaura un nuovo rapporto tra ordini dell'obbedienza e coscienza individuale, consentendo di trasformare la politica in patto tra gli uomini e aprendo la distinzione tra sfera del reato e sfera del peccato. Sin dal Medioevo – spiega Silvio Ferrari, professore di Diritto canonico ed ecclesiastico – il cristianesimo riconosce la categoria di "diritto divino naturale", fondata sull'idea che tutti gli uomini, in quanto creati a immagine e somiglianza di Dio, abbiano la capacità razionale di distinguere il bene dal male. E mentre l'ebraismo ortodosso riconosce, accanto alla Legge mosaica, un nucleo di principi universalmente validi, nella giurisprudenza islamica il diritto naturale pare invece interamente assorbito dalla nozione di diritto rivelato, rendendo più complessa la questione dell'obbedienza dell'altro e l'articolazione della laicità.

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Pubblicata da: Centro Studi Religiosi il 07-12-2006