Cristiani in armi

Da Sant'Agostino a papa Wojtila


Il rapporto tra il cristianesimo e la guerra è costellato di contraddizioni, di equivoci interpretativi, di aspre divisioni. Ne consegue una storia – ricostruita in questo volume – in cui il linguaggio bellico è sempre intervenuto a spiegare il conflitto tra bene e male, tra fedeli e non credenti, senza mai cancellare tuttavia i “costruttori di pace”. Già a partire da san Paolo infatti è frequente il paragone tra il combattimento contro il male interiore e la guerra contro un avversario in carne e ossa, mentre appena pochi anni dopo l’editto di Costantino scompare di colpo l’incompatibilità tra la fede cristiana e il servizio militare. E’ pertanto naturale che Agostino affermi, da vescovo, che di fronte a invasioni o autorità illegittime la guerra sia inevitabile e perfino giustificabile. La guerra santa viene quindi preparata nel corso dei secoli da movimenti e dichiarazioni autorevoli, trasformando l’omicidio del nemico in “malicidio”, preparando il terreno per le crociate non solo contro gli infedeli, ma anche contro gli altri cristiani, gli eretici e gli oppositori del papa. Allo stesso tempo la connessione tra morte in battaglia, martirio e premio eterno venne affermata con forza. Per questo motivo la teologia della guerra adottata dalla Chiesa medievale finì per diventare parte integrante della teologia globale, facendo del sostegno alla pace un’eresia. Anche la guerra contro i nativi del Nuovo Mondo fu condotta a partire da queste premesse culturali e teologiche. A metà del Seicento anche la Chiesa di Roma si arrende dinanzi alla forza dell’assolutismo regio: i teologi cattolici finiscono per ammettere non solo la guerra difensiva, ma anche la guerra per vendetta e quella offensiva. Di fronte ai disastri provocati dai conflitti del XVII e XVIII secolo matura l’esigenza di un progetto di accordo e di pace internazionale al cui centro era previsto il ruolo della Chiesa. Ai due conflitti mondiali del XX secolo si oppone una frammentata riflessione cristiana sulla guerra, pur nella consapevolezza della enormità dei pericoli determinati dalla corsa agli armamenti. La minaccia nucleare rende inevitabile un ripensamento della tradizionale teologia della guerra e favorisce il peso e l’influenza dei movimenti cristiani per la pace anche all’interno dell’alta gerarchia della Chiesa. Lo sbocco naturale è l’enciclica Pacem in terris (1963) che si indirizza non soltanto ai credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà, nei quali è ugualmente presente la luce della ragione: una lettura dei segni dei tempi che riconosce il valore positivo della storia del mondo e spezza definitivamente il giudizio pessimistico sull’inevitabilità della guerra.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2006
Recensito da
Anno recensione 2006
Comune Roma-Bari
Pagine XIII + 211
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