Dell'idolatria

Un'archeologia delle scienze religiose


Un viaggio nelle categorie che nei secoli XVI e XVII componevano il “religioso” per i cronisti spagnoli impiegati a capire e descrivere le popolazioni amerinde. E’ questo, in estrema sintesi, ciò che si propongono con il loro libro Bernard e Gruzinski. La ricerca diventa particolarmente stimolante quando i due studiosi passano in rassegna le evoluzioni che tali categorie hanno conosciuto nel corso di quei due secoli e di quelli successivi. Il viaggio inizia con i resoconti di Las Casas, “difensore” degli Indios, ma soprattutto sostenitore dell’universalità della religione. La sua griglia interpretativa poneva una frontiera piuttosto tra umano e sovrumano che tra sacro e profano; l’idolatria, inoltre, doveva essere considerata – a suo giudizio – un fatto naturale e non un azione del demonio. Tale concezione si scontrava con il paradosso di una cultura europea impegnata a rivalutare il paganesimo greco-romano (i cui temi erano raffigurati nella pittura e scultura cinquecentesca) nello stesso momento in cui condannava i miti degli indigeni d’America. Poiché gli spagnoli ripudiavano le feste rituali legate al ciclo della terra, che sono rimaste centrali nella cultura contadina europea per molti secoli, Las Casas, e con lui cronisti quali Duràn e De Molina, cercarono di scindere ciò che si poteva ritenere frutto di consuetudine e tradizione dalla superstizione e dall’idolatria. Anche per questo motivo il loro racconto è molto utile per comprendere i popoli americani e la naturalezza con la quale si proponevano di unire i propri riti a quelli cristiani. Questo sforzo interpretativo scomparve purtroppo con le successive campagne europee di conquista e di evangelizzazione. Si dovette infatti assistere alla sistematica distruzione dei culti locali e delle “istituzioni religiose” indigene. Ciò avvenne in sintonia con il clima inquisitorio che imperversava in Europa: l’idolatria fu così assimilata al contagio di una malattia infettiva che doveva essere debellata. Essa non era più, infatti, una pratica naturale, bensì una “dottrina odiosa e sanguinaria ispirata dal demonio”, mentre l’idolatra era un deviato, da condannare come si faceva con i sodomiti e gli ebrei. Questa interpretazione faceva scoprire tratti idolatrici in ogni attività indigena e pertanto alcune manifestazioni impossibili da sradicare, come le feste e i riti di passaggio, vennero private di quanto conferiva loro un senso e furono costrette a diventare espressione di un costume senza finalità precise. La religione degli indios, dopo quel “trattamento”, non fu più individuabile come campo specifico e si dovette fare ricorso a categorie di tipo politico e sociale.

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Autore
Anno pubblicazione 1995
Recensito da
Anno recensione 1995
Comune Torino
Pagine 249
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