Filosofia economica

Fondamenti economici e categorie politiche


Smith, Marx, Schumpeter e Keynes costituiscono le quattro tappe di un filone teorico volto ad elaborare il rapporto, talvolta conflittuale e paradossale, ma sempre strutturale, tra economia e politica. Da un lato, si tratta di non ridurre l’economia ad un insieme “naturale” di leggi e processi oggetto di un sapere specialistico e neutrale, mettendone in rilievo invece l’inestricabile intreccio con le forme politiche e sociali, e con il senso delle azioni dei soggetti attivi nella società; dall’altro, si tratta di mostrare come il politico si articoli sempre sulla produzione della vita materiale, sulle dinamiche sociali, e sia perciò lungi dal potersi ridurre alla funzione astratta di un comando razionalizzatore che trascenda e unifichi il tessuto delle pratiche sociali. In questa prospettiva, Adam Smith è portatore di una razionalità politico-sociale alternativa alla tradizione hobbesiana, che sfocia nella moderna autonomia del politico e dello Stato. L’illuminismo scozzese ragiona invece a partire da una civil society in cui le passioni e i bisogni diano luogo ad un gioco di compensazioni e integrazioni capace di produrre un ordine dal basso, legittimato e sostenuto non dalla paura né dalla trascendenza decisionistica dell’imperium, ma dal meccanismo delle pratiche sociali. All’autonomia del politico subentra così una sintesi tra politica, economia e morale, che presto affronterà la propria crisi: infatti per Marx la civil society si rivela il luogo dell’estorsione del plusvalore, il cui significato è immediatamente politico. Il plusvalore non è un sovrappiù definibile in termini solo contabili, ma definisce un rapporto sociale cui è immanente il dominio. Schumpeter e Keynes prolungano nel Novecento la crisi dell’armonia smithiana ormai rivelata come luogo di conflitti. Il primo dichiara il politico impensabile nella razionalità economica, pur riconoscendo che la dimensione dinamica di quest’ultima dipende dall’irrazionalità dell’iniziativa imprenditoriale. Ma a Schumpeter sfugge ciò che sarà il tema di Keynes: la socializzazione dell’iniziativa, il passaggio dall’individualità dell’imprenditore alla diretta imprenditorialità dello Stato. Keynes teorizza appunto un ruolo economicamente attivo dello Stato, constatando l’incapacità del sistema economico di autoregolarsi. Solo l’intervento normativo di un’istanza politica in nome di dati fini può regolamentare una realtà economica conflittuale, e in questa riproposizione, quasi rovesciata, della sintesi smithiana, il venir meno di una civil society autosufficiente sembra eliminare contemporaneamente ogni autonomia del politico.

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Autore
Anno pubblicazione 2005
Recensito da
Anno recensione 2005
Comune Torino
Pagine 405
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