Il percorso e la voce

Un'antropologia della memoria


“Perché chiamare soltanto «orali» tradizioni e culture che fanno un uso costante e articolato dell’immagine?”: è questa l’interrogazione che innerva il progetto di un’antropologia della memoria, la cui ambizione è quella di allargare l’orizzonte offerto da una tradizione di studi – in Italia rappresentata da P. Rossi e L. Bolzoni – che ha indagato l’arte della memoria nel Medioevo e nel Rinascimento europei. Due i radicati luoghi comuni da estirpare: il primo, che esista un percorso storico naturale che conduce dal disegno al segno, dalla sfera iconica a quella della scrittura. Quest’ultima viene spesso considerata come il sistema più strutturato per la trasmissione della memoria collettiva, se non come sua condizione necessaria, al punto che, come sosteneva M. De Certeau, la scrittura e la storia – nel loro organizzare il rapporto con l’altro – si sono date sempre insieme. Nel secondo luogo comune, “la distinzione esclusiva tra «orale» e «scritto» cancella un terzo tratto, l’immagine”. Attraverso una puntigliosa analisi delle pittografie amerindiane, frutto di due decenni di ricerche sul campo, l’autore mette bene in luce la complessità del loro funzionamento e il ruolo giocato nell’elaborazione della memoria. Una pratica sociale che articola la relazione tra parola e immagine e la loro comune natura nei processi mentali, il cui funzionamento riecheggia quello dell’immaginazione trascendentale di matrice kantiana. Ma non solo: il contributo originale delle tradizioni non occidentali nell’approntare una pratica mnemonica visiva che non ricorra ad una relazione semiotica è infatti da ricercare nel ruolo cruciale della voce, o meglio nella recitazione all’interno di un contesto rituale da parte di un enunciatore-sciamano che parla a nome della tradizione, che trasfigura la sua identità in un Io-memoria. Questa forma-canto, lontana dalla semplice narrazione, strutturando la dimensione visiva in sequenze ordinate, dà così vita a immagini sonore: tale è la natura propria delle immagini mnemoniche. Centrale infine, dal punto di vista metodologico, il recupero della tradizione iconografica, o meglio di quell’antropologia della memoria sociale che Warburg – cui viene consacrata la sezione più articolata – aveva potuto solo abbozzare in seguito alla celebre spedizione presso gli indiani Pueblo. Ripercorrendo a ritroso i testi-chiave della sua formazione nonché della tradizione morfologica, l’autore intraprende così un viaggio inedito attraverso la diffusione degli studi antropologici americani fino a recuperare la Biologia dell’Immagine, “una specie di cimitero delle materie scientifiche”, le cui tesi, pazientemente esposte, costituiscono il presupposto intellettuale del saggio.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2004
Recensito da
Anno recensione 2005
Comune Torino
Pagine 337
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