Il simbolismo dell'occhio


Nella sua introduzione al volume, Carlo Ossola sostiene che «l’universo di Deonna è pieno di occhi come la luna di Galileo». Dagli occhi, e più in generale dal fenomeno della visione, Deonna non vuole né può sfuggire, circondato com’è da una selva di immagini, simboli, metafore e allegorie attinenti al senso della vista, che egli coglie due volte: da erudito interessato a rintracciare nella sapienza sedimentata nel corso dei millenni ogni possibile riferimento all’occhio e alle sue proprietà; da letterato capace di riprodurre nel ritmo della pagina scritta qualche cosa della sterminata cultura in prosa e in versi che ha parlato dell’occhio, dei suoi poteri, dei suoi mali. “Tutto è occhio” per Deonna, metodologicamente vicino a Hermann Usener e tuttavia «prossimo ai grandi ginevrini di inizio secolo» per molteplicità di interessi e vastità di cultura. Infatti, «poiché dipende dalla luce che riceve, fonte della vita stessa, l’occhio è l’organo essenziale della vita dell’uomo e della sua individualità. Esserne privati vuol dire essere diminuiti nella propria esistenza, quale che sia la compensazione offerta dagli altri sensi, e ritrovarsi immersi nelle tenebre – che possono essere anche quelle del nulla e della morte». “Vediamo, ma siamo anche visti”, “guardiamo e siamo guardati”: privare l’uomo dell’occhio comporta quindi astrarlo dalle relazioni che lo rendono tale, così come riconoscergli la vista significa riconoscerne la dignità di essere uomo. Non solo: l’occhio è baricentro e punto focale perché posto al centro della testa alla quale l’intero uomo può essere ricondotto anche se non ridotto. Dire dell’occhio e di come l’occhio guarda ha, quindi, un’immediata valenza antropologica, ma include anche altri aspetti: mitico, mitologico, teologico, magico. Ci sono occhi umani e soprannaturali, benefici e malefici, benedicenti e maledicenti. Sguardi che paralizzano o che danno vita, che penetrano implacabili o che si celano dietro un velo. Occhi che si aprono e si chiudono. Cecità fisica e cecità simbolica. A evitare il rischio di una cecità simbolica – l’unica che lo scrittore possa provvedere a sanare grazie alla propria arte – ci pensa non solo il testo in senso stretto, ma anche e soprattutto il corposo apparato di note. Due «forme testuali coesistenti», come le definisce Sabina Stroppa, curatrice dell’edizione italiana: «da una parte quella di un testo vero e proprio, funzionale a una lettura continua da parte di un vasto pubblico, e dall’altra quello delle note, rivolte a una stretta cerchia di studiosi e di colleghi che condividevano gran parte della cultura e dei riferimenti dell’autore». Riferimenti, tuttavia, accessibili a chiunque, e forse ancor più necessari per chi – come il lettore d’oggi – chieda a questo testo non tanto di ricordargli cose già sapute, bensì di aiutarlo a scoprirne di nuove.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2008
Recensito da
Anno recensione 2009
ISBN 9788833918525
Comune Torino
Pagine XXXVII+339
Editore