La cultura del male

Dall'idea di colpa all'etica del limite


Quando si attraversano – come avviene oggi – periodi storici caratterizzati da crisi, la religione diventa spesso uno ‘strumento’ al quale l’uomo attribuisce capacità di interpretazione della realtà, al contrario di quanto avviene nei confronti di uno stile filosofico oggi diffuso che interpreta la natura umana riducendola a “male”. La pervasività dell’antropologia ‘negativa’ contemporanea è infatti tale da alimentare una concezione nichilista della realtà e un indebolimento dell’etica laica, favorendo così la strategia ‘mondana’ della religione cristiana (in particolare della sua interpretazione paolina) promossa dalla Chiesa cattolica: in quest’ottica l’uomo, senza il soccorso fornito dalla fede, non riuscirebbe a uscire dalla sua condizione miserevole, contrassegnata dal peccato e dalla corruzione. L’autore si impegna allora in un’analisi dell’idea di colpa (e di “caduta”), dalle sue origini paoline e agostiniane, fino a Schopenhauer, Nietzsche e Freud. Nell’indagine di Bonanate trovano dunque diritto di cittadinanza questioni che a lungo sono sembrate confinate nelle facoltà di teologia e trovano rilievo correnti di pensiero e espressioni artistiche (sia laiche che religiose) che hanno messo in luce la fragilità dell’uomo e il suo rischio di cadere nelle vie del male. Oggi però l’ammissione della crisi, la prospettiva nichilista, è diventata un paradigma interpretativo dominante anche grazie alla forza comunicativa dei suoi esponenti accademici che presentano la fragilità e lo spaesamento dell’uomo come l’ineluttabile “destino tragico” della modernità. Questa cultura della crisi, che Bonanate definisce anche “cultura del male”, non ha un progetto, ma si limita all’analisi della crisi stessa, rimanendo all’interno di un’indeterminatezza che accresce il senso della precarietà dell’uomo. Risulta allora necessario valorizzare un’antropologia positiva della finitudine – conclude Bonanate – in cui il mondo appaia una realtà nella quale l’uomo può, e deve, organizzarsi costruendo un’etica del limite che denunci i tratti antiumani delle etiche nichiliste e ‘negative’. Una prospettiva laica del limite, che non veda necessariamente nell’uomo una “colpa originaria”, potrebbe aiutare a riconoscere in modo più responsabile i poteri e le forze dell’uomo anche di fronte al caso e all’imperfezione, radicandosi così nella consapevolezza dell’eterogeneità dei valori in grado di stabilire connessioni tra i fini che ciascuno intende perseguire e la realtà in cui si è concretamente inseriti.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Luigi Bonanate

    Docente di Relazioni internazionali - Università di Torino

Anno pubblicazione 2003
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Torino
Pagine 118
Editore