La giustizia dei vincitori

Da Norimberga a Baghdad


Esattamente sessant'anni fa il processo di Norimberga, celebrato per giudicare i dirigenti del nazismo sopravvissuti alla caduta di quel regime, portò all'elaborazione di grandi novità nel diritto internazionale: venne azzerata la sovranità giuridica dello Stato nazionale, si previdero sanzioni per i crimini contro la pace e contro l'umanità. Quel processo, ricorda Zolo, segnava l'avvio di un percorso che voleva ridisegnare i contorni dei legami giuridici tra Stato, violenza e guerra e che auspicava la realizzazione dell'idea kantiana della pace perpetua. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata all'ONU nel 1948 e più recentemente l'istituzione dei Tribunali speciali per il Ruanda e la ex Jugoslavia sono i passi più significativi di un cammino che non è più fondato sulla sovranità nazionale ma su princìpi giuridici universali. Il limite di questo percorso, sostiene l'autore, è dato dal fatto che i Tribunali internazionali non sono competenti a giudicare la guerra di aggressione e soprattutto non sono riusciti a impedire alle grandi potenze (in particolare agli Stati Uniti) di sentirsi al di sopra del diritto internazionale. Da parte delle potenze occidentali si è passati alla dichiarazione di guerre globali, che sono tali anche in senso simbolico, dato il loro costante richiamo a valori universali: esse giustificano la guerra in nome di un punto di vista superiore e di valori che si ritiene siano considerati prioritari dall'intera umanità. Si è andato inoltre affermando, continua Zolo, un sistema dualistico di giustizia penale internazionale, per cui a una giustizia "su misura" per le grandi potenze del pianeta si affianca una giustizia per gli sconfitti: è accaduto in particolare che crimini internazionali di guerra, normalmente meno gravi del crimine di aggressione, siano stati perseguiti con accanimento (come nel caso della ex Jugoslavia). Nello stesso tempo la guerra di aggressione, crimine per lo più commesso da autorità politiche e militari delle grandi potenze, è stata sistematicamente ignorata. La dottrina della sicurezza globale, messa a punto dal governo americano nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, esige che le grandi potenze, responsabili dell'ordine mondiale, diano per superato il vecchio principio della non ingerenza negli affari interni degli Stati nazionali. Per l'autore ne consegue che la tutela internazionale dei diritti dell'uomo deve essere considerata un principio di carattere prioritario rispetto alla sovranità degli Stati e all'obiettivo stesso della tutela della pace. Stante la persistente debolezza dell'ONU, che manca di un'autentica dimensione universale, occorre trasformare l'ordinamento internazionale vigente in una sorta di civitas maxima  politicamente unificata, retta da un diritto cosmopolitico che attribuisca la soggettività di diritto internazionale a tutti gli individui e non più soltanto agli Stati.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Danilo Zolo

    Professore di Filosofia del diritto - Università di Firenze

Anno pubblicazione 2006
Recensito da
Anno recensione 2007
Comune Roma-Bari
Pagine XIV + 194
Editore