La nozione di persona

Una categoria dello spirito


Il libro è la traduzione di una celebre conferenza tenuta da Marcel Mauss nel 1938 presso il Royal Anthropological Institute di Londra. Oggetto dell’intervento è il modo in cui la categoria di persona è sorta e si è sviluppata nel corso dei secoli in culture diverse. Si tratta, per ammissione dello stesso autore, di un tema «immenso», che afferisce al filone francese di studi sulla storia sociale delle categorie dello spirito umano.
In particolare, è immediato il riferimento alle ricerche di Émile Durkheim, del quale Mauss era non soltanto allievo, ma anche nipote. Seppur in forma sporadica, Mauss si era già occupato dell’argomento nei decenni precedenti, nelle lezioni all’École Pratique des Hautes Études del 1906-07 e in una comunicazione del 1929. La novità del saggio è presentare in sintesi un piano di lavoro organico, esponendo le linee generali che dovrebbe seguire una ricerca dedicata al concetto di persona nelle civiltà extra-europee ed europee, passando quindi per il diritto, la morale e la psicologia. L’assunto di base è che un certo senso del sé, riferito almeno alla propria corporeità, è un dato stabile e facilmente rinvenibile in tutte le società: «non c’è mai stato» nota Mauss «un essere umano che non abbia avuto il senso del proprio corpo, ma pure della propria individualità a un tempo spirituale e corporea». Al contrario, la nozione di persona è una costruzione interamente culturale.
Mauss recupera l’etimologia latina di persona nella sua duplice accezione di «maschera» e «individuo». Il testo si articola perciò in due sezioni: la prima si concentra sulle nozioni di personaggio e maschera nelle popolazioni senza scrittura, la seconda su quelle di persona e io nelle culture che hanno sviluppato una cultura scritta. Dalla ricca tradizione etnografica sul rapporto tra individuo e maschera, Mauss prende in esame i casi dei Pueblo Zuni del Nuovo Messico, studiati dall’antropologo americano Frank Hamilton Cushing, e dei Kwakiutl, nativi del Nord America a cui Franz Boas ha dedicato alcune ben note ricerche, descrivendo il rituale del potlach. Tra i Pueblo Zuni è reperibile in ciascun clan un insieme di nomi determinati, secondo una lista pubblica e una segreta. Questi nomi fanno riferimento al ruolo del singolo all’interno del clan stesso o di confraternite sacerdotali – simili ai collegi dell’antica Roma – addette a un particolare servizio religioso. I nomi, inoltre, sono ereditati dagli antenati, dei quali si ha la possibilità di perpetuare il ricordo mediante appositi rituali che spesso prevedono l’utilizzo di una maschera. Il nome è quindi uno strumento di classificazione funzionale a definire il rango sociale, vale a dire la posizione dell’individuo all’interno del clan di appartenenza, in società nelle quali l’identità del singolo si definisce sempre in rapporto a quella dell’intero gruppo. Di fatto, il nome assicura la vita e la proprietà delle cose, oltre che la sopravvivenza sulla terra dell’antenato omonimo. Anche tra i Kwakiutl la situazione è analoga: ogni individuo ha un nome proprio, a volte addirittura più nomi a seconda della stagione dell’anno; a questo si affianca il prenome, che cambia in base all’età e alle funzioni che gli competono.
Come si legge nel discorso del clan delle Aquile, che rappresentano un gruppo privilegiato: «i nomi non possono uscire dalle famiglie dei grandi capi […], ma possono soltanto essere passati al maggiore dei loro figli». Qui non sono in gioco soltanto il prestigio e l’autorità dei capi, ma soprattutto il mantenere in vita gli antenati, che letteralmente rivivono nel corpo di chi porta il loro nome, perpetuati cioè da una catena ininterrotta di discendenti. Mauss conclude affermando che in queste società primitive e senza scrittura è riconoscibile, più che la nozione occidentale di individuo, quella di personaggio, ossia di un appartenente al clan con un preciso ruolo da svolgere sia in ambito familiare sia nei drammi sacri. Dopo essersi brevemente soffermato sull’India bramanica e buddista e sulla Cina, è nella Roma antica che Mauss rintraccia la nascita del concetto giuridico di persona e l’attribuzione del significato che è giunto fino a noi. Due le principali etimologie attribuite al termine persona: Émile Benveniste lo ritiene di derivazione greca (da prósopon), altri studiosi ipotizzano un’origine etrusca e lo collegano alla tradizione delle maschere degli avi. Una chiara corrispondenza nel mondo latino è individuabile, secondo Mauss, nel rituale degli Hirpi Sorani, cioè dei lupi del Monte Soratte, che camminavano sui carboni ardenti nel santuario della dea Feronia indossando pelli e maschere. La questione della persona nel mondo romano torna, però, soprattutto nella confusione tra cognomen e imago, cioè tra il soprannome attribuito a qualcuno (ad es. Nasone, Cicerone) e la maschera di cera custodita nelle case delle famiglie patrizie che riproduceva il volto di un progenitore. Nella Tavola di Lione promulgata nel 48 d.C. dall’imperatore Claudio si concedeva, infatti, ai giovani senatori galli sia il diritto alle immagini sia quello a portare i cognomina dei loro antenati. L’indiscussa novità del mondo latino rimane comunque l’introduzione del concetto di persona giuridica, in quanto individuo che possiede il proprio corpo ed è dotato di diritti e doveri. Si tratta di un paradigma esclusivo, che relega i servi ai margini del diritto personale: come nell’antico diritto germanico, che distingueva tra uomini liberi e schiavi, anche presso i romani servus non habet personam, il servo non ha personalità, non possiede il proprio corpo. L’introduzione della coscienza morale, quindi l’aggiunta di un significato etico a quello esclusivamente giuridico, si verifica secondo la ricostruzione di Mauss soltanto con l’avvento dello stoicismo e si realizza in maniera compiuta nell’età di Marco Aurelio.
Quando l’imperatore riprende il detto di Epitteto «scolpisci la tua maschera», esorta a definire il proprio personaggio, il proprio carattere, secondo un’accezione interiorizzante simile al moderno esame di coscienza. La tappa che conduce al completamento della nozione di persona anche dal punto di vista metafisico avviene con il Concilio di Nicea, che risolve la controversia trinitaria e quella monofisita affermando, da un lato, che la Trinità è al tempo stesso una e composta da tre persone, dall’altro, che in Cristo convivono natura umana e natura divina. Tuttavia, secondo Mauss, è solo in epoca moderna che il concetto di persona assumerà una «forma precisa», divenendo sinonimo di coscienza e io: saranno primi i movimenti religiosi settari, come i puritani, i fratelli moravi e i pietisti, a porre l’accento sulla libertà della coscienza del singolo, sul rapporto diretto e personale dell’individuo con Dio, sull’essere sacerdoti di se stessi. Kant, poi, farà della coscienza individuale una delle condizioni della ragion pratica e Fichte la renderà una categoria della ragion pura.
«Da allora» scrive Mauss «la rivoluzione delle coscienze è un fatto compiuto: ciascuno di noi ha il proprio "io", eco delle Dichiarazioni dei diritti che avevano preceduto Kant e Fichte». Fin dalla sua pubblicazione il saggio di Mauss è stato oggetto di un vivace dibattito, in cui non gli sono state affatto risparmiato critiche, talvolta severe. Tra queste merita di essere ricordata quella formulata da Arnaldo Momigliano in un articolo del 1985, Marcel Mauss e il problema della persona nella biografia greca. Qui, da un lato, Momigliano riconosceva il «doppio valore» del contributo di Mauss, sia per la particolare circostanza storica in cui fu elaborato (poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale), sia per la rilevanza che aveva assunto il concetto di persona nella sociologia del maestro e zio Durkheim. Dall’altro lato, accusava Mauss – e con lui Meyerson e la scuola antropologica francese, che si poneva in continuità con il suo lavoro (in particolare Vernant e Detienne) – di aver trascurato l’indagine sul «processo di caratterizzazione della persona» nella tradizione biblico-giudaica e in quella della biografia e dell’autobiografia del mondo greco-romano, che aveva invece contribuito potentemente alla definizione dell’individuo attraverso il racconto della sua vita. Se è certamente vero, come nota Momigliano, che Mauss esclude dalla sua esposizione il pensiero classico, è altrettanto indubitabile che il suo saggio rappresenti ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per chiunque desideri occuparsi delle nozioni di individuo e persona, che ha il merito di inquadrare in una prospettiva ampia, non solo strettamente antropologica.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2016
Recensito da
Anno recensione 2016
ISBN 9788837229320
Comune Brescia
Pagine 112
Editore