La responsabilità dell'artista

Le avanguardie tra terrore e ragione


Interpretare l’avanguardia da una prospettiva diversa da quella abituale: La responsabilità dell’artista ha suscitato da subito una gran polemica in Francia. Revisionare la storia dell’arte del nostro secolo, e soprattutto il profilo politico dei suoi momenti topici: questo è il tentativo che porta l’autore a considerare la possibilità di ricostruire lo spazio di tensione tra terrore e ragione, in cui ha ‘abitato’ l’arte d’avanguardia. Si tratta, senza dubbio, di un testo provocante, ma non è una provocazione gratuita, bensì piena di voglia di verità. Jean Clair revisiona con decisione filologica il rapporto tra l’arte d’avanguardia e i modelli politici con cui la stessa avanguardia si è confrontata per configurarsi. Da questo punto di vista vengono circoscritti il concetto di modernità (inteso come termine opposto a progresso) e la metafora dell’avanguardia. L’analisi di Clair smaschera l’originaria e fondamentale contraddizione dell’avanguardia: essa pretende di rappresentare il laboratorio della modernità, ma di non incarnare il progresso dell’essere umano, perché affonda le sue radici nell’irrazionalismo romantico. L’arte d’avanguardia ha condiviso con le utopie totalitarie (tanto di sinistra quanto di destra) la violenza, il disprezzo della cultura e anche l’antiumanesimo. Clair si richiama anche a Hans Magnus Enzensberger: artisti, scrittori e teorici della modernità hanno abbracciato il terrore e la barbarie. Clair non sottoscrive integralmente questa condanna, ma la prende in considerazione per formulare la tesi fondamentale: l’avanguardia ha vissuto nell’oscuro terreno tra terrore e ragione, senza saper affrontare il problema. L’accusa è grave: l’artista è responsabile, ma perché ha avuto tanta impunità? Sino alla Grande Guerra, l’avanguardia sembrava identificarsi con l’ideale illuminista, verso la costruzione di un ordine nuovo e una città nuova per l’uomo universale. Per Clair si deve dunque mettere in dubbio la base euristica della modernità e ricordare che essa si alimentava innanzi tutto di sincretismo spiritualista. Ricordandosi di Helena Blavatski, di Nietzsche, di Stirner e dei grandi nomi della modernità – Kupka, Kandinsky, Mondrian, Duchamp e Breton -, l’autore mostra che il simbolismo non è morto nel Novecento. Pathos espressionista, funzionalità della Bauhaus e scenografia hitleriana da un lato, e purificazione del dopo Auschwitz dall’altro, sono i due spazi che Jean Clair ci invita a rivisitare.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1998
Recensito da
Anno recensione 1999
Comune Torino
Pagine 128
Editore