Liberty before Liberalism


Esponente prestigioso della cosiddetta scuola contestualistica di Cambridge, Skinner analizza il concetto di libertà elaborato dalla tradizione di pensiero inglese che lui definisce «neo-romana», tradizione che la storiografia ha sempre trascurato. Ma l’interesse che lo spinge ad occuparsi di pensatori del XVII secolo inglese che affrontarono il problema della libertà politica, quali Harrington, Milton e Sidney, non pertiene soltanto all’erudizione, bensì riveste una particolare connotazione filosofico-politica valida anche per il dibattito attuale. La peculiarità della tradizione neo-romana consiste nella ripresa della concezione del vivere libero, propria dell’umanesimo civile italiano, e in particolare della concezione repubblicana del Machiavelli, che individuava nella partecipazione politica e nel governo della legge le condizioni essenziali per evitare il dominio discrezionale dei governanti. Skinner preferisce la denominazione «neo-romana» a quella classica di «repubblicana» perché non tutti gli autori considerati propendevano per forme di governo strettamente repubblicane, e soprattutto per sottolineare l’importanza delle fonti classiche latine (Cicerone, Livio, Sallustio) rispetto all’aristotelismo messo in evidenza da studi di Pocock. Si tratta, in sostanza, dell’ideale della civitas libera contro cui polemizzò aspramente Hobbes nel Leviathan, e che risulta irriducibile alla concezione della libertà negativa, intesa come assenza di interferenza. Tuttavia la concezione della libertà come non-dominio non rientra nemmeno tra le forme di libertà positiva, secondo la dicotomia introdotta da Isaiah Berlin. Skinner adotta invece la tesi di Philip Pettit e mostra come la concezione repubblicana costituisca una tradizione concettuale autonoma che, pur accettando le premesse liberali della libertà negativa, pose sempre l’accento sulla necessità istituzionale di garantire una reale partecipazione e l’autogoverno come antidoti a forme di dominio arbitrario. Pertanto la teoria neo-romana degli stati liberi divenne un’ideologia fortemente sovversiva nella Gran Bretagna del tempo che, tuttavia, dovette soccombere alla tradizione vincente del liberalismo e dell’utilitarismo inglese, da Hobbes a Hume, da Bentham a Paley, per i quali la rigida definizione di libertà come non interferenza nel perseguimento dei fini individuali relegava come utopiche le preoccupazioni dei «neo-romani» per una partecipazione politica che impedisse forme di dominio personale.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1998
Recensito da
Anno recensione 1999
Comune Cambridge
Pagine XIV+142
Editore