L'influenza culturale di Benedetto Croce


Redatto originariamente nel 1951 come capitolo di un’«eventuale storia della cultura italiana contemporanea», il saggio di Gianfranco Contini L’influenza culturale di Benedetto Croce fu pubblicato sul numero 36 dell’«Approdo letterario» dell’ottobre-dicembre 1966 e viene ora riproposto nella collana "Variazioni" dalle Edizioni della Scuola Normale Superiore di Pisa, preceduto da una lunga prefazione di Michele Ciliberto. Il saggio si presenta come un’analisi critica, dotta e appassionata, del pensiero crociano con l’intento, in un periodo in cui Croce iniziava a essere oggetto di attacchi sempre più frequenti, di «riuscire postcrociani senza essere anticrociani», emancipandosi tanto dai «coetanei abbandonati a un anticrocianesimo rigorosamente postumo» quanto dagli «juniores fruenti di alcuni risultati postcrociani quando ormai erano trapassati di moda, senza loro sudore». L’excursus prende le mosse dall’Estetica del 1902, la cui caratteristica principale secondo Contini è la «parzialità». Le due tesi su cui poggia lo scritto di Croce – l’autonomia dell’arte e il suo essere un momento aurorale rispetto alla vita dello spirito – implicano, infatti, l’«eversione» non solo di tutte le «estetiche eteronome, cioè intellettualistiche ed edonistiche e pedagogiche o moralistiche», ma anche di tutte le linguistiche, comprese la semantica e la grammaticale (tanto care a Contini), che non considerino in senso humboldtiano la lingua come creazione e poesia. Dalle due affermazioni teoretiche dell’Estetica deriva anche la negazione della pluralità delle arti, dei generi letterari e degli stili e la distinzione tra la retorica, relegata nel dominio dell’attività politica, e la poetica, intesa come la «dottrina del bello», con la conseguente esclusione delle categorie del sublime e del brutto in arte. A Contini l’estetica crociana appare a un tempo chiusa e aperta: chiusa perché tende a esaurirsi nella sua enunciazione metafisica; aperta perché da essa discendono questioni la cui possibile soluzione obbliga a oltrepassare la stessa formulazione crociana.
Grande attenzione è inoltre dedicata alle cosiddette tre integrazioni crociane all’estetica. In particolare, Contini nota come la seconda integrazione – ovvero la tesi della cosmicità o universalità dell’arte esposta nel saggio del 1917 Il carattere di totalità dell’espressione artistica – preluda alla reintroduzione della moralità in campo estetico. Si tratta di una deduzione tanto interna al sistema crociano, in cui i distinti sono inseriti in una «storia ideale eterna» e perciò «metafisicizzati», quanto «paradossale», perché in tal modo l’autonomia dell’arte sembra essere messa in discussione «proprio nella sede che ha per mansione di mantenere distinti i distinti». Per Contini, questa seconda integrazione nasce dalla necessità crociana di trovare uno strumento gnoseologico grazie al quale poter condannare il decadentismo del tardo D’Annunzio e con esso tutta la letteratura contemporanea che si riconosceva nel frammentismo e nella poesia pura. Secondo Contini, però, la distinzione di due fasi nella produzione dannunziana – la prima su cui il giudizio di Croce è positivo, pur nei limiti della definizione di «dilettante di sensazioni», la seconda, in cui D’Annunzio diventerebbe uno «stanco ripetitore di se stesso» – è inammissibile, anche perché riflette soltanto la coesistenza di più interpretazioni di Croce: il Croce che insiste sulla propria «classicità» e che al tempo stesso è «il più convinto sradicatore del classicismo»; il Croce filosofo che smentisce il Croce erudito degli esordi; il Croce «vorace di onniscienza» e il Croce «teoreta di problemi particolari»; il Croce che prima bandisce come «eretica» la distinzione tra scrittori maggiori e minori e poi finisce per occuparsi di questi ultimi per «indulgenza alla solita istanza enciclopedica»; il Croce che tra il 1910 e la metà degli anni Venti rovescia il proprio giudizio sul secentismo. È proprio a causa di tale contraddizione interna al pensiero crociano che la moralità rischia di tramutarsi in moralismo e la critica descrittiva in critica valutativa.
Dopo aver preso in esame anche la storiografia crociana, non senza un accenno di polemica politica, alla fine del saggio Contini tira le fila del proprio discorso, riconoscendo che l’influenza di Croce sulla cultura italiana è stata così «rapida e diretta» da potersi considerare «quasi inedita nella storia dei filosofi, almeno dopo l’antichità». Fatte le debite proporzioni, infatti, l’unico precedente degno di nota è stato quello di Bergson in Francia. Le cause principali della sorprendente fortuna di Croce sono da ricercare nella tendenza enciclopedica della sua filosofia e nelle ammirevoli qualità di scrittore, criticate dai filosofi di professione, che lo consideravano un mero divulgatore dell’idealismo. Ma la fecondità del pensiero crociano è ben più estesa. Contini nota, infatti, come dall’insistenza sull’angoscia dell’ultimo Croce stia prendendo le mosse un esistenzialismo poco originale, che se «lasciato allo stato puro, romantico e irrazionale, può solo cadere nelle mani di dilettanti» e come invece dal «carattere metodologico» della filosofia crociana stia nascendo il «germe d’un nuovo positivismo», lo strutturalismo, verso il quale naturalmente vanno le sue simpatie. Non è Croce dunque che va rigettato, bensì il crocianesimo degli storici, dei giuristi e soprattutto dei critici letterari, che con il loro teologismo di matrice hegeliana hanno incoraggiato in modo preterintenzionale quel decadentismo avversato dallo stesso Croce, e addirittura il fascismo. Il solo modo di essere crociani, prosegue quindi Contini, è di farsi sostenitori di un «postcrocianesimo culturale», capace di liberare la critica dall’ipoteca romantica del sentimento, di renderla disponibile ad accogliere i risultati della filologia e della stilistica e di non limitarla al campo letterario, ma di estenderla anche a quello figurativo e musicale. Soprattutto, e qui in aperto contrasto con la filosofia di Croce, il postcrocianesimo auspicato da Contini dovrà fondarsi sul recupero della «pratica effettuale» della scienza, per mezzo di una rinnovata collaborazione tra il sapere umanistico e il sapere scientifico.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2013
Recensito da
Anno recensione 2014
ISBN 9788876424939
Comune Pisa
Pagine 105
Editore