L’emergere dell’attenzione per la questione dell’identità nell’ambito delle scienze umane e sociali coincide oggi con l’inabissarsi di prospettive di tipo universalistico. Il termine "identità" affiora dunque nel momento in cui tendono a entrare in crisi impostazioni concettuali generalizzanti, avverte Remotti, e l’attenzione dell’analisi sociale si sposta verso configurazioni locali. Per questo motivo "identità" è il concetto tra i più diffusi oggi nelle scienze sociali e nel discorso politico, tanto che possiamo davvero sostenere di vivere un’ossessione identitaria. Eppure l’identità non è inevitabile, sostiene Remotti, essendo una scelta che come tale comporta una forte riduzione della molteplicità delle aggregazioni e una loro gerarchizzazione arbitraria. Questa scelta non è necessariamente consapevole, anzi spesso avviene a livello inconscio ed è ciò che viene definito come "vincolo della particolarità", che implica la necessità di uno scarto e la sua conseguente svalutazione: la presenza stessa di questo "scarto", la consapevolezza della sua esistenza implica la presenza dell’alterità che, nei momenti in cui sembra maggiormente in pericolo l’identità, viene però progressivamente inglobata. Ciò si può spingere fino a considerare il "noi", contenuto dell’identità, come un assoluto globale, totale. In questo modo l’insistenza sull’identità sposta inevitabilmente i sistemi sociali verso la chiusura, andando nella direzione di costruire confini netti e invalicabili. Dire "identità", continua Remotti, significa affermare la costituzione di un nucleo sostanziale (i cosiddetti "valori") che si caratterizza in maniera definitiva e si configura come una barriera, prima di tutto mentale, nei confronti degli altri e che arriva a impedire ogni possibilità di mutamento e di trasformazione. Si assiste in questo modo a una richiesta di riconoscimento che appare minacciata proprio dai mutamenti imposti dalle variabili demografiche, economiche e sociali e che vengono vissuti dal "noi" identitario come una minaccia insopportabile, tanto da spingere a desiderare e pianificare la distruzione dell’altro. Occorre invece riconoscere la logica "meticcia" in cui l’identità del "noi" si forma: un "noi" in cui gli altri da sempre coesistono è per forza di cose un "noi" aperto, relazionale. Riconoscere questo elemento avrebbe la funzione di stemperare la questione identitaria. Vi è infatti un nesso, conclude Remotti, tra l’emergere dell’ossessione identitaria e i processi di impoverimento culturale che investono il mondo contemporaneo, nesso che si evidenzia nella riduzione dell’insieme dei modelli con cui interpretare la società. La funzione di orientamento ha preso un senso eccessivamente unidirezionale, incapace di cogliere la ricchezza del reale e fronteggiare il futuro: riducendo in modo radicale la complessità, questa cultura impoverita sostituisce alle relazioni una logica fatta di mere divisioni e opposizioni.