n. 1/2, aprile


Con un numero doppio, comprendente una trentina di contributi di filologi, storici della letteratura e filosofi, la rivista Humanitas ha celebrato il bicentenario leopardiano. In quelle pagine vengono analizzati e interpretati gli elementi filosofici presenti negli scritti del poeta e le fonti che alimentano il suo pensiero. Si passa anche in rassegna il modo in cui è stata interpretata la sua produzione in versi e la poesia civile. Particolarmente interessanti risultano gli accostamenti tra i testi leopardiani e quelli biblici, rilevando il ruolo che il problema religioso ebbe sulla meditazione di Leopardi. In piu” di una occasione ci si è concentrati sull”identificazione con la vicenda di Giobbe, a partire dalla definizione fatta da Carducci, per il quale con Leopardi ci troveremmo di fronte al “Job del pensiero italiano”. L”eccesso del male e dell”infelicità appare a Leopardi come un motivo valido non solo per la ribellione umana, ma anche per l”odio e “la bestemmia degli enti invisibili e superiori: e questo, tanto piu” quanto piu” l”uomo è credente e religioso”. Una chiara recezione del libro di Giobbe si potrebbe trovare quando, per il recanatese, l”uomo moderno concepisce contro la propria persona “un odio veramente micidiale”: mentre Giobbe però intende rimanere fedele al proprio Dio, nell”orizzonte leopardiano non si scorge nessun Tu divino. Un”importante base di riflessione viene da una ricerca di Patrizia Giordani (L”antiteodicea – Dio, dei, religione nello Zibaldone di Giacomo Leopardi, Firenze 1996, Olschki, pp182 + XL), recensita da Alberto Frattini che sottolinea come Leopardi smonta la vecchia metafisica fatta di assoluti, per approdere a uno scetticismo dovuto a una realtà in cui Dio è assente e in cui domina il Male. “Se la vita è sventura, perché da noi si dura?” (Canto notturno): un simile interrogativo, che viene accostato alle domande di Giobbe e di Cristo sulla croce, non può non rivendicare un originario qualificante carattere religioso. Molto rilievo viene dato anche al tema dell”infinito, che al contrario non lascerebbe filtrare una valenza teologica, perché propone un”infinità materiale. La tensione religiosa si scopre votata allo scacco, perché l”unica infinità vera è quella del nulla. Quel “nulla” che è lo spazio in cui si compie la ricerca indefinita di “senso” da parte dell”uomo, lo spazio nel quale il poeta eleva interrogativi che sono vicinissimi, secondo Domenico Venturelli, alle domande del Qohelet, distanziandosene però in quanto per Leopardi non è Dio il termine dell”interrogazione umana, ma il “verecondo raggio” della luna silenziosa.

Dati aggiuntivi

Anno pubblicazione 1998
Recensito da
Anno recensione 1998
Comune Brescia
Pagine 432
Editore