Scrivere le culture

Poetiche e politiche in etnografia


“Non vi é dunque alcuna ragione intrinseca per cui le varie specie di relazioni tra i messaggi della nostra descrizione non debbano essere usate come simboli i cui referenti siano i rapporti all”interno del sistema da descrivere”. Questa considerazione di Gregory Bateson, (cfr. “Epilogo” a Naven, Torino 1988) può essere fatta interagire con il libro curato da J. Clifford e G.C. Marcus. L”autoreferenzialità della scrittura che essa richiama riconduce il rapporto mappa/territorio ad un problema di spazialità, in direzione quindi delle problematiche del soggetto e del rapporto fra ontologia ed epistemologia. Tutte questioni che lambiscono le posizioni che hanno assunto, in Scrivere le culture, i saggi di otto antropologi, di uno storico e di un critico letterario, in relazione alla questione dell’analizzare, tradurre e rappresentare le culture. I vari contributi descrivono il percorso fatto, sin dagli anni settanta, dall”antropologia, dalla ricerca sul campo e dai presupposti epistemologici in essa impliciti: cioè il passaggio dell”etnografia dall’osservazione delle culture non﷓occidentali a zona interdisciplinare rivolta anche allo studio dell”Occidente e a efficace strategia di critica culturale. In virtù di un’acquisita polifonia, le problematiche toccate dagli autori, con vivaci percorsi polemici, riguardano l”identità, il mutamento politico e sociale e la connessione tra pensiero e pratica. Benché ogni autore presenti le sue peculiarità non mancano i tratti comuni: il ribadire in diversi modi che la mappa non è il territorio, la presa di distanza dalle pretese realistiche imperanti in antropologia. Clifford si rifà alla categoria di allegoria (cfr. oltre all’Introduzione, Sull”allegoria etnografica) per sottolineare il costruttivismo quasi letterario delle narrazioni etnografiche e le loro inevitabili implicazioni politiche, per respingere l”oggettività a﷓locale e a﷓mentale del “presente etnografico” e così contrapporsi alla semiotica interpretativa di Geertz. Rabinow (cfr. Le rappresentazioni sono fatti sociali. Modernità e postmodernità in antropologia) vede nel “testo”, indipendentemente dalle forme che può assumere, un medium inadatto a rappresentare l”altro, valorizza il discorso femminista, (per un esempio importante cfr. Out of context. The persuasive fictions of Anthropology di Marilyn Strathern in «Current Anthropology», vol. 28, n. 3, june 1987), ma propende per un non meglio definito “cosmopolitismo critico”. Tyler (cfr. L’etnografia post﷓moderna: dal documento dell”occulto al documento occulto) invita a liberare l”etnografia dalla trascendenza, espressa ad esempio dalla figura dell”osservatore imparziale, dal discorso neutro e scorporato imposto dalla scienza.

Dati aggiuntivi

A cura di
Anno pubblicazione 1997
Recensito da
Anno recensione 1997
Comune Roma
Pagine 354
Editore