Mosè l'egizio


Assmann pone a confronto memoria e storia attraverso due personaggi che hanno avuto fortune differenti: Mosè, di cui si conserva la memoria pur non essendo storicamente accertata la sua esistenza, e Ekhnaton, sovrano egizio vissuto intorno al 1330 a.C., che ebbe un grande rilievo storico, ma di cui non si conserva memoria. Ekhnaton (meglio noto come Amenofi IV) distrusse i culti e le immagini del politeismo egizio. La sua rivoluzione monoteista viene collegata da Assmann alla “distinzione” operata da Mosè tra vero e falso in ambito religioso, una distinzione che trova la sua definitiva descrizione nel libro dell’Esodo. Ekhnaton e Mosè hanno pertanto reso la falsità e l’idolatria oggetto di emarginazione e persecuzione e hanno equiparato verità e riconoscimento di un unico Dio. La “distinzione mosaica” comprende anche quella tra religione naturale e religione positiva: ciò che è altro rispetto alla scrittura non è l’oralità, ma la Natura, ossia la sfera delle cose naturali e della loro rappresentazione per immagini.
Il presente saggio viene definito dall’autore una “mnemostoria dell’antagonismo religioso”, nella misura in cui si fonda sul confronto simbolico tra Israele e Egitto. Mosè è una figura del ricordo e in quanto tale viene distinto dal Mosè della Bibbia. Il Mosè ebraico incarna il confronto e l’antagonismo tra Israele e Egitto. Il Mosè egizio media invece questo contrasto e incarna il superamento della “distinzione” tra idolatria e vera religione. L’Egitto diventa il grembo da cui è uscito il popolo eletto. Sviluppando queste fondamentali asserzioni, Assmann procede analizzando il pensiero di alcuni eruditi e filosofi (Spencer, Warburton, Reinhold, Lessing, Schiller) che a partire dal XVII secolo hanno discusso la figura di Mosè, rielaborando un patrimonio di citazioni classiche e mirando a superare la distinzione mosaica in nome della Natura, della ragione e della tolleranza. Tale dibattito, caduto in oblio quando l’egittologia si è diffusa in Europa, viene ripreso da Freud con il saggio L’uomo Mosè e la religione monoteista (1939). Freud mette l’accento sull’aspetto imperioso delle leggi apodittiche e del confronto senza compromessi, caratteristiche insite nei monoteismi; delinea il rapporto tra monoteismo e violenza, e sottolinea come dopo la sua uccisione e rimozione Mosè potè diventare una figura del ricordo permanente e incancellabile. Mosè non è soltanto il liberatore del suo popolo, ma anche il “creatore del popolo ebraico”: con queste affermazioni Freud non pensa soltanto al Mosè storico, ma a quello rimosso e a quello ricorrente nel ricordo presi insieme.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Jan Assmann

    Professore di Egittologia - Universität Heidelberg

Anno pubblicazione 2000
Recensito da
Anno recensione 2001
Comune Milano
Pagine 304
Editore