Manifesto del nuovo realismo


Il Manifesto di Ferraris, prima ancora di imporre programmi per una filosofia a venire, restituisce la "fotografia di uno stato di cose". Si tratta infatti di fare luce definitivamente sulla svolta filosofica e culturale concretizzatasi tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello attuale: se il Novecento è stato un periodo di generale antirealismo (l’ermeneutica di Gadamer, le filosofie della differenza ispirate a Nietzsche e a Heidegger, il postmoderno analizzato da Lyotard), secondo Ferraris il primo decennio del secolo successivo segna un’inversione di tendenza in direzione del realismo, ovvero di una programmatica e strutturata reazione ai "due dogmi del postmoderno". Da un lato, infatti, il postmoderno avrebbe legittimato l’idea di una realtà "socialmente costruita" e "infinitamente manipolabile", mentre dall’altro, muovendo dall’assunto nietzscheano secondo cui "non ci sono fatti ma solo interpretazioni", esso avrebbe ridotto la verità all’inutilità lasciando che la "forza" di un qualsivoglia principio etico o politico soppiantasse l’oggettività e la certezza quali primi parametri di conoscenza e di comprensione della realtà. Ferraris deduce così i capisaldi di un nuovo realismo proprio a partire dagli esiti del postmoderno. Da qui la tesi critica alla base di questo suo Manifesto: se ci domandiamo perché l’Occidente, dopo avere sperimentato il postmoderno con programmatica convinzione, ha finito per allontanarsene e abbandonarlo, è proprio perché il postmoderno ha centrato fin troppo bene i suoi obiettivi. Il più lampante tra gli esiti del postmoderno, in tal senso, sarebbe per Ferraris quel "populismo mediatico" che ha inciso in maniera pressoché decisiva sulla vita politica e sociale dell’Occidente in generale e dell’Italia in particolare. Tali riflessioni sugli esiti del postmoderno rappresentano la pars destruens di questo Manifesto: in essa Ferraris, attuando un fecondo recupero della storica correlazione tra "critica" e "illuminismo", prende di mira i presupposti e le fallacie del postmoderno. La pars construens del Manifesto viene successivamente sviluppata da Ferraris lungo tre direzioni: l’estetica come teoria della sensibilità, l’ontologia naturale come teoria dell’inemendabilità e l’ontologia sociale come teoria della "documentalità". Ed è proprio il principio di inemendabilità a rappresentare l’elemento più convincente del discorso di Ferraris: "inemendabile" non è altro che la realtà stessa, non soltanto nel suo porsi di fronte a noi ma anche e soprattutto nella sua inaggirabile capacità di generare attrito, resistenza e contrasto rispetto agli «schemi concettuali con cui cerchiamo di spiegare e interpretare il mondo» (p. 48). Solo muovendo dall’inemendabilità del reale, conclude pertanto Ferraris, da un lato rimane vivo l’elemento certamente positivo del postmoderno, ovvero «la richiesta di emancipazione che prende l’avvio dall’ideale di Socrate sul valore morale del sapere e si precisa nel discorso di Kant sull’illuminismo» e, dall’altro lato, torna a essere perseguibile l’occasione culturale e politica che il postmoderno sembra avere perso, lì dove ha optato piuttosto per un indebolimento senza remore della nozione stessa di verità: «dire addio alla verità è non solo un dono senza controdono che si fa al potere, ma soprattutto la revoca della sola chance di emancipazione che sia data all’umanità, il realismo, contro l’illusione e il sortilegio» (p. 112).

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2012
Recensito da
Anno recensione 2013
ISBN 9788842098928
Comune Roma-Bari
Pagine XI+113
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