Alchimia del segno

Rousseau e le metamorfosi del soggetto moderno


Una delle acquisizioni decisive del soggetto moderno consiste nell’aver maturato la capacità narrativa di riscrivere à rebours la propria storia, per poter dare voce alla "differenza". Nelle letture di alcuni filosofi fortemente critici della modernità come Schopenhauer o Nietzsche, Rousseau ha finito per diventare un vero e proprio "mito polemico". L’appello rousseauiano a una "origine", per il cui mancato raggiungimento la riflessione filosofica ha dovuto talvolta riconoscere l’impuissance de l’esprit humain, ha suscitato nutriti e agguerriti dibattiti, in particolare nei casi in cui la civilizzazione è stata intesa come un lavoro storico di trasformazione e manipolazione della natura umana e degli istinti fondamentali, lavoro finalizzato (più o meno esplicitamente) a favorire gli scopi della comunità e della società. La lucida presa d’atto dell’impuissance dell’uomo à la Rousseau, fuori dal quadro esplicativo della modernità, ha spinto la critica a porsi il problema di un’interpretazione (nel senso di Starobinski) dei problemi ancora "aperti" dell’identità personale. Rousseau si rivela pertanto, ancora oggi, un autore indispensabile per comprendere soprattutto la dinamica onnipervasiva delle forze tanto di espansione centrifuga che di concentrazione centripeta della soggettività (p. 108). Sulla base di questa tesi interpretativa, con Alchimia del segno. Rousseau e le metamorfosi del soggetto moderno Antonio De Simone presenta alla critica contemporanea uno studio originale interno dell’opera di Rousseau in versione completamente rinnovata rispetto alla sua prima edizione risalente al 1985, tanto nella struttura testuale che nell’approccio critico e documentale. È la «étrangeté», se vogliamo a tratti inquietante, della scrittura di Rousseau a rivelare il serio impegno autobiografico e ontologico del filosofo ginevrino, articolantesi tra dimensione etica e attualità politica, a dare voce al «viaggio "pericoloso", solitario e immaginario» della sua riflessione (p. 12). Al di là di qualsivoglia tentazione riduzionistica, onde perseguire un tale progetto storiografico e teorico, De Simone collega il Rousseau "politico" alla sua produzione "non politica", per valorizzare i risultati "inattesi", se vogliamo le novità ermeneutiche, che un tale accostamento produce proprio nella dimensione più strettamente autobiografica del sé narrativo. Sono appunto le «metamorfosi del soggetto moderno» come recita il sottotitolo del libro, a rivelare un fenomeno "persistente" anche nell’ipermodernità: trattasi del bisogno inaggirabile di normatività che spinge il sé a dar voce «al proprio e pulsante sentiment de l’existence» per «salvaguardare la libertà e l’autonomia della sfera morale» e favorire così lo «sviluppo di un’etica materiale flessibile e attenta alle ragioni della sensibilità» (p. 14). A fare da pendant a tale impulso normativo del soggetto, esiste nel contempo un «pensiero del limite» (pp. 15, 41), quello che nel Rousseau filosofo politico ha favorito l’uscita definitiva dell’uomo dallo stato di natura e che si è concretizzato gradatamente nella rappresentazione collettiva di se stessi secondo una pratica allargata dell’amour de soi, appunto per superare, al di fuori di sé, i limiti inaggirabili di ogni narcisistico amour propre che sta alla base del «cattivo riconoscimento». In questo modo Rousseau porta avanti l’idea di una "fisiognomica sociale dello sguardo", per disvelare «il ruolo dell’intersoggettività quale dimensione universale dell’esperienza umana» (pp. 19, 22), nella quale – come De Simone mostra attraverso lo Hegel della Phänomenologie des Geistes – la coscienza di sé è sempre anche coscienza d’altro (p. 31). Pertanto, anche se talvolta può essere fraintesa come passione suprema dell’io, tale coscienza d’altro resta pur sempre "performativa" di forze in conflitto tra loro che mirano a essere riconosciute come tali. Se già lo Adam Smith della Theory of Moral Sentiments mostrava che nella dimensione umana, oltre i bisogni fondamentali, contano fin troppo le «gratificazioni offerte dall’altrui simpatia e ammirazione» (p. 25), con Simmel assistiamo allo scatenarsi dell’ambivalenza conflittuale tra identificazione e differenziazione, la quale ci impone il destino sociologico di soccombere alle mode, per poi illuderci di non essere solo «frammenti dell’uomo in generale, ma anche di noi stessi» (p. 21). La dinamica del cattivo riconoscimento, ben più complessa di quella a essa speculare del mancato riconoscimento, ha condotto Rousseau sulla strada del male. De Simone mostra puntualmente come da alcune delle più autorevoli interpretazioni contemporanee di Rousseau sia possibile ricavare una lettura "genealogica" del male, anche per riconsiderare il mancato ruolo svolto dalla ragione e dalla coscienza nel controllo delle passioni tanto nelle scienze, nelle lettere o nelle arti che nella divisione del lavoro e nella proprietà (p. 42). Secondo De Simone il mondo di Rousseau va dunque letto come un «être a part». Se da un lato molto di Rousseau può o deve essere oltrepassato (p. 85), occorre dall’altro valorizzare la sua «politica della parola», orientata a disciplinare le pratiche filosofiche di un «sapere di sé» che si annuncia come il compito normativo della coscienza «personale», la quale scrive e nel contempo si cela (p. 107), sospesa tra la nascita, la vita e la morte (p. 115). Di qui l’importanza che assume in Rousseau la pratica narrativa della confessione. Il bisogno di interrogarsi una volta che si è giunti a una «fase cruciale della propria vita» (p. 143), come accade nel momento della propria morte, riapre, sempre mediante la scrittura, i cassetti della memoria autobiografica, per dare voce a significati psicologici, autoanalitici e morali posti a servizio di una «soggettività sentimentale e interiore» (p. 149) che è chiamata, dalla vita stessa, a chiudere il cercle du soi (p. 165). Per uscire dal "cerchio magico" dell’egologia, l’io di Rousseau si fa soggetto/oggetto della comunicazione con il tu del lettore. Lo scrittore si rapporta dunque «al macro universo del pubblico» e testimonia lo stretto rapporto che lega tra loro filosofia, linguaggio, scrittura e tempo storico (p. 170). Nella radiografia "chiaroscurale" di De Simone, il linguaggio rousseauiano è dunque una testimonianza viva del «rapporto generativo» che mette in connessione il soggetto interno dell’autore con il tu del lettore secondo un feedback comunicativo. Ma è proprio correndo il "pericolo" del patto fra l’io e il linguaggio che Rousseau può passare dal livello del je alla dimensione "testamentaria" del moi, fino al punto "limite" in cui lo scrittore, con le sue memorie della vita, finirà col conquistarsi il "privilegio", come scrive Starobinski, «di essere giudicato nell’universale».

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2013
Recensito da
Anno recensione 2014
ISBN 978-88-5751-840-4
Comune Milano
Pagine 212
Editore