Bildung e umanesimo


Pubblicati a dieci anni dalla scomparsa del padre dell’ermeneutica filosofica contemporanea, i sette saggi gadameriani raccolti in un unico volume dalla casa editrice Il Melangolo non esauriscono in tale ricorrenza le ragioni della loro stringente attualità. Nella moderna dissoluzione dell’immagine dell’uomo «risultante dal confluire di tradizione cristiana e pensiero greco» (p. 98) Gadamer ritrova infatti l’origine di quei fenomeni relativi alla burocratizzazione, al «primato della regolamentazione rispetto all’iniziativa» (p. 231) e al dominio della tecnica che sembrano costituire il destino delle società industriali contemporanee. Se nei secoli della tarda antichità il concetto dell’uomo come imago dei proprio della fede cristiana si era unito all’idea pitagorica e platonica di un’«originaria frattura» tra l’umano e il divino e, quindi, alla teoria di una «costrizione dello spirito da parte della materia corporea» (p. 96), a partire dall’epoca rinascimentale un nuovo modello antropologico «colma di un’eco infinita la consapevolezza che l’uomo ha di sé» (p. 98). Smarrito nella formula dell’homo faber il senso di inadeguatezza dell’uomo nei confronti di Dio, «la concezione cristiana del peccato e della grazia – si legge in Was ist der Mensch? – non è più così strettamente vincolante da impedire che la coscienza che l’uomo ha di sé cerchi un’autonoma realizzazione in questo mondo». Accade dunque che personaggi della mitologia antica come Eracle e Prometeo acquistino nuova forza simbolica proprio in virtù della loro capacità di incarnare la facoltà umana di «creare qualcosa di nuovo, d’imprevedibile, di inatteso e che sembra impossibile» (p. 100). L’elogio machiavelliano dell’etica classica – o «estetica», come la definì anche Berlin nel suo lavoro dedicato all’originalità del Fiorentino (I. Berlin, Controcorrente. Saggi di storia delle idee, Milano, Adelphi, 2000, p. 81) – prefigura già nel XVI secolo quel decadimento della ragione a «strumento universale della volontà creatrice» e a «potere dei mezzi» che Gadamer mostra di riconoscere sia nei «tratti anticristiani» dell’Ode a Prometeo di Goethe, sia – in forma decisamente più coerente e matura – negli esiti nichilistici della speculazione nietzscheana: «nel diciottesimo secolo la ragione era ancora il potere dell’incondizionato, cioè il potere dei fini […]. Oggi, tuttavia, la ragione sta diventando il puro e semplice mezzo, essa si sta facendo tecnologica. Come tale, serve a ogni scopo. Questo mutamento nel concetto di ragione sospinge l’idea dell’homo faber al suo supremo compimento. La ragione sta diventando lo strumento universale dell’essere uomo» (p. 101). Proprio dall’eclissi dei fini determinanti e dalla parallela estensione a tutti gli ambiti dell’esistenza collettiva della weberiana «ragione strumentale» procedono, per una sorta di rovesciamento dialettico, la sollevazione (Aufstand) dei mezzi e il conseguente dominio dei poteri economici sull’uomo. Di qui la perorazione gadameriana della Bildung umanistica intesa come formazione generale e non specialistica capace di promuovere e premiare la facoltà di giudizio e, quindi, la libertà dell’uomo, piuttosto che la sua tendenza all’adattamento. Le scienze cosiddette empiriche – osserva l’autore in Humanismus heute? – insegnano infatti che «un dato di fatto è qualcosa che si può misurare. Ma attraverso la conoscenza fornita dalla misurazione del misurabile non possiamo arrivare all’equilibrio nella convivenza umana e all’utilizzo a fin di bene delle potenzialità della nostra civiltà scientifica e tecnica» (p. 75). Ritrovare l’umana tensione all’universalità e all’unità nella dispersione e nell’anonimato che abitano la civilizzazione di massa è dunque l’incarico affidato da Gadamer alle istituzioni votate alla formazione e all’educazione degli individui: «se si pensa che il compito prioritario della scuola oggi consista nell’indirizzare il più ampiamente possibile a quella specializzazione che è richiesta nel lavoro scientifico e tecnico, allora ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata […] Insegnare non vuol dire trasmettere delle informazioni […]. Al contrario, vuole dire insegnare a giudicare, a scegliere, ad avere la percezione di che cosa occorra studiare. Al vero apprendimento appartiene anche l’audacia; e vi appartiene il saper porre domande» (pp. 78-85). Fondata filosoficamente sulla heideggeriana antitesi tra la dimensione della possibilità – o del progetto – e la «deiezione», cioè la caduta dell’essere dell’uomo al livello delle cose del mondo, la critica di Gadamer alla dispersione del sapere e alla corrispondente «funzionalizzazione del singolo» (p. 212) operate dalle moderne collettività industriali non è interpretabile soltanto come una nostalgica invettiva rivolta contro la civiltà meccanica e l’ordine astratto sorti dalla dissoluzione delle comunità organiche. Attraverso il riconoscimento della «posizione trasversale» detenuta dall’uomo «rispetto ai comportamenti vitali legati all’istinto proprio di tutti gli esseri viventi», essa intende piuttosto formulare l’esigenza di «nuove forme di solidarietà» (p. 161) all’interno di società altrimenti destinate a trasformarsi in «formicai» o «tane di termiti».

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2012
Recensito da
Anno recensione 2013
ISBN 9788870188233
Comune Genova
Pagine 235
Editore