Il pensiero ebraico nel Novecento


Il Novecento è stato un secolo che ha riportato in primo piano il valore e l’importanza della tradizione ebraica e lo ha fatto spesso in modo tragico, al punto che numerosi pensatori e intellettuali hanno "riscoperto" la cultura ebraica soltanto in un secondo momento, come conseguenza della discriminazione, della persecuzione e della Shoah. 

Il confronto con la storia e con la politica del Novecento non è però che una parte della riflessione novecentesca definibile, seppur in modo ampio e incerto, come "pensiero ebraico", che ha visto lo sviluppo anche di importanti questioni filosofiche, teologiche e antropologiche. Si tratta dunque di un ampio nucleo concettuale che sottolinea la necessità – come afferma Adriano Fabris nell’Introduzione – «di pensare ancora una volta in maniera adeguata la differenza, ma anche il legame, tra Atene e Gerusalemme: la tendenziale inconciliabilità, e insieme l’inevitabile incontro delle sue tradizioni» (p. 13). E in cosa consistono questa differenza e questo incontro? Innanzitutto nel fatto che la partizione ormai canonica del pensiero occidentale tra teologia e filosofia è una partizione che non può essere applicata alla tradizione ebraica (e a questo si deve la necessità di parlare in modo più ampio di "pensiero"): «Il pensiero ebraico del Novecento – prosegue Fabris – è quella riflessione capace di interagire con la filosofia e la teologia della propria epoca, mantenendo il doppio legame dell’appartenenza e del distacco: nei confronti del tempo in cui è stata elaborata, rispetto alla tradizione in cui si è trovata inserita. È pensiero "incarnato", (…) capace di offrire prospettive nuove alla stessa storia della filosofia occidentale» (p. 20). Sarebbe perciò riduttivo voler parlare solamente di filosofia o di teologia ebraica, poiché la prima caratteristica del pensiero ebraico è proprio quella di muoversi con estrema libertà e oltrepassare i confini tra le due discipline, senza per questo rinunciare al rigore e alla coerenza interna.
Per restituire adeguatamente questa ricchezza, l’opera si divide in due parti. Nella prima parte sono delineati i profili intellettuali di alcuni dei più significativi pensatori che, nel Novecento, si ricollegano in vari modi alla tradizione ebraica: Hermann Cohen (grazie al profilo scritto da Pierfrancesco Fiorato), Martin Buber (Andrea Poma), Franz Rosenzweig (Francesco Paolo Ciglia), Walter Benjamin (Fabrizio Desideri), Abraham Joshua Heschel (Paolo Gamberini), Leo Strauss (Carlo Altini), Hannah Arendt (Laura Boella), Hans Jonas (Claudio Bonaldi), Vladimir Jankélévitch (Enrica Lisciani-Petrini), Emmanuel Lévinas (Giovanni Ferretti). 
Nella seconda parte vengono invece discussi alcuni temi centrali che hanno caratterizzato e influenzato lo sviluppo del pensiero ebraico del Novecento: La razionalità della salvezza (tema discusso da Bernhard Casper), Il messianismo (Kenneth Seeskin), Shoah (Donatella Di Cesare), Religione e laicità (Irene Kajon), Interpretazione (Azzolino Chiappini), Il pensiero ebraico tra passato e futuro (Amos Luzzatto). Si tratta ovviamente di un catalogo parziale di temi e autori, ma l’intenzione del curatore non è quella di offrire un catalogo esaustivo, quanto piuttosto, proprio attraverso una scelta accurata (adeguatamente argomentata e per questo anche disponibile al confronto critico), quella di portare in primo piano alcuni caratteri distintivi del pensiero ebraico del Novecento, per il confronto esplicito e diretto sia con la tradizione ebraica (escludendo pertanto gli autori che, pur avendo origini ebraiche, non si sono mai confrontati con questa tradizione), sia con gli eventi storici e politici che hanno chiamato direttamente in causa l’appartenenza alla cultura ebraica attraverso una rinnovata rivendicazione di appartenenza oppure una sua sostanziale messa in discussione.

Dati aggiuntivi

A cura di
Anno pubblicazione 2015
Recensito da
Anno recensione 2015
ISBN 9788843074914
Comune Roma
Pagine 343
Editore