La guerra globale


Ciò che dichiaratamente Galli presuppone a queste sue riflessioni geopolitiche è “l’evento 11 settembre”, in cui non viene consumato un ‘normale’ attentato terroristico: allo stesso modo le azioni militari conseguenti non vengono giudicate una ‘normale’ guerra. L’indicazione che l’autore cerca di rintracciare nel fitto e confuso intreccio di categorie, che in questo fenomeno si manifesta, poggia su di una più generale considerazione della loro collocazione nell’orizzonte della globalizzazione. Il dubbio cruciale che attraversa il testo è che la catastrofe americana possa diventare ‘cronica’ e che segni la prima manifestazione di una guerra di tipo nuovo, la guerra globale, che deve essere riconosciuta come una modalità della globalizzazione stessa. Galli considera impossibile, almeno attualmente, portare a sistema l’insieme di concetti che il pensiero politico riesce a cogliere e decifrare della guerra globale, in quanto modalità del conflitto che esce dalla concettualità liberale, ma anche da quella marxista e da quella del pensiero negativo. Il tentativo dell’autore, allora, consiste nel selezionare aspetti di una realtà costitutivamente sfuggente alla presa dell’apparato categoriale di cui disponiamo. Sotto questo aspetto, il testo compie un’attenta disamina della crisi della concettualità che ha caratterizzato l’esperienza politica moderna, concretizzatasi nella vicenda degli Stati nazionali, figure che appaiono oggi ormai svuotate, incapaci di produrre effettiva politicità, in qualche modo annullati dalla dimensione globale che ne ha confuso, se non azzerato, i confini. Nel caos che la guerra globale produce, Galli riesce però a leggere uno spazio importante di potenzialità positiva. Si propongono due opzioni: o rimanere meri spettatori passivi di un ordine oramai dissolto, che non riesce più a riprodurre la propria identità; o cominciare a pensare alla necessità di intraprendere effettive pratiche di libertà, sia essa individuale o collettiva, solidale o agonale. In altri termini, il compito è quello di pensare la libertà non come un diritto astratto, ma come azione. La politica, dunque, deve essere considerata in un modo postmoderno e post-statuale, che ci permetta la pratica di una “immagine-azione” collettiva capace di negare l’ineffabilità di un destino che si caratterizza come antiumano, e che possa lasciar intravedere, almeno per spiragli, qualche riconoscibile configurazione di effettiva libertà. La sfida, allora, sarà quella di riconquistare uno spazio in cui sia possibile per l’uomo una “autentica” azione politica, al di là della formalizzazione statuale che ha contraddistinto la declinazione moderna del “politico”.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Carlo Galli

    Professore di Storia delle dottrine politiche - Università di Bologna

Anno pubblicazione 2002
Recensito da
Anno recensione 2003
Comune Roma-Bari
Pagine V + 106
Editore