La politica perduta


Il destino della politica, la sua attuale crisi, devono essere inquadrate a partire da una constatazione: sembra infatti che essa abbia abdicato al proprio mandato, cioè al suo essere un’attività pratico-teorica volta a garantire ordine e sicurezza. Al contrario, sembra che oggi la politica tenda a evocare sempre più ossessivamente la presenza del Male per giustificare una pratica del potere che di quello stesso male assume forme e sostanza. Per questo motivo Giobbe – secondo Revelli – può diventare una figura altamente rappresentativa della dimensione tragica della politica, una chiave di lettura dello scenario storico in cui il male torna a essere un mistero, senza che, tuttavia, svanisca la responsabilità diretta dell‘uomo rispetto alla pratica del bene. Il nuovo “paradigma della politica” richiede allora un depotenziamento, una critica esplicita alla categoria stessa di “potenza” a favore di logiche altre: cooperative, connettive, relazionali. Una decostruzione del monopolio della forza e della verticalità, tipica della politica moderna, rende possibile la ricostruzione di una dimensione orizzontale, capace appunto di istituire relazioni: nella società globale del rischio, in cui tutto finisce per essere interdipendente, l’impiego concentrato della violenza non ottiene più alcun bene collettivo (pace, ordine, sicurezza) capace di giustificarla. Emerge con chiarezza sempre maggiore, sottolinea Revelli, il sistematico fallimento di realizzare l’ordine mediante un sempre più alto dispiegamento di potenza: il principio su cui si basava il paradigma securitario della modernità politica – la produzione dell’ordine attraverso il controllo monopolistico dei fattori specifici del disordine – non è dunque più sostenibile, né praticabile. Lo spazio sociale della globalizzazione è uno spazio totale che cancella le antiche linee di demarcazione (la distinzione tra interno ed esterno), cioè uno dei caratteri fondamentali dello spazio politico moderno, inteso come spazio artificiale e delimitato, costruito mediante la capacità del potere sovrano di ritagliare dalla spazialità continua della natura alcune “aree esclusive”, qualificate, del proprio esercizio. La possibilità dell’ordine come condizione di sicurezza presuppone la facoltà di respingere all’esterno il disordine. Oggi invece quel confine vacilla: in assenza di un “fuori”, esternalizzare il disordine significa ritrovarselo in casa. Occorre pertanto, conclude l’autore, ritrovare un’idea di giustizia che non si riduca al principio di legalità e aprire la strada alla giustizia riconciliatrice, che implica l’esistenza di un legame tra i contendenti e in cui si affermi il riconoscimento reciproco e la ricostruzione di una compassione reciproca.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Marco Revelli

    Professore di Scienza politica - Università del Piemonte Orientale

Anno pubblicazione 2003
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Torino
Pagine 137
Editore