Materia, spirito e creazione

Reperto cosmologico e supposizione cosmogonica


Nasce da uno scambio epistolare il breve saggio di Hans Jonas intitolato Materia, spirito e creazione, edito per la prima volta in forma ridotta dalla rivista interdisciplinare «Scheidewege» (1988) e ora riproposto in lingua italiana nella sua versione definitiva per i tipi della casa editrice Morcelliana. Replicando all’ingegnere e inventore tedesco Max Himmelheber, che gli aveva inviato per conoscenza un Progetto sul tema del cosmo e secondo principio della termodinamica, Jonas prese infatti a confutare la tesi – sostenuta soprattutto dai fautori nordamericani della teoria dell’intelligent design – secondo la quale la tendenza della natura a creare forme di ordine superiore partendo da quelle di ordine inferiore sarebbe attribuibile a una sorta di informazione insita nella materia già al momento della nascita del mondo, cioè nell’istante del cosiddetto big bang. In base a tale convinzione, difesa di recente anche dal cardinale Christoph Schönborn in polemica con la dottrina evoluzionistica, un logos cosmogonico preesistente agli elementi sarebbe stato in grado di condurre l’universo dall’originaria «esplosione caotica» fino allo sviluppo dei fenomeni terrestri e astronomici a ciclo chiuso. L’obiezione di Jonas al progetto steso da Himmelheber assunse però in breve tempo la fisionomia di una vera e propria «speculazione cosmogonica» (p. 28), attorno alla quale veniva articolandosi il disegno di una morale naturale fondata sui concetti di sviluppo ed evoluzione. Anche se la direzione anti-entropica intrapresa dalla materia nel suo passaggio dal disordine all’ordine rimane improbabile per le stesse leggi della fisica, l’ipotesi di qualsiasi programmazione e conformità a un piano prestabilito «non può valere – scrive l’autore nelle pagine iniziali del volume – come modello esplicativo dello sviluppo», poiché l’informazione necessita già di per se stessa, nel suo substrato fisico, di un sistema differenziato e stabile quali sono ad esempio il genoma degli esseri viventi, compiutamente articolato nella sua struttura molecolare e in ciò persistente, oppure il software dei computer, compitato magneticamente in modo altrettanto esaustivo. Occorre dunque, per rendere ragione della progressiva articolazione della materia cosmica, affidarsi all’ipotesi di un «fattore trascendente», la cui capacità di «condurre a qualcosa di nuovo» (p. 32) viene accolta da Jonas come paradigma esplicativo del «reperto cosmologico», cioè del dato naturale inteso non solo come latore di ordine e significato, ma anche come frutto di un intrinseco dinamismo orientato nello spazio e nel tempo. Attraverso il superamento del determinismo implicito nel concetto di intelligent design, Jonas riesce a ricavare lo spazio logico utile sia alla giustificazione della libertà umana, sia all’istituzione del «principio di responsabilità», che di tale libertà è corollario etico (p. 89). L’irruzione della trascendenza nel mondo organico, testimoniata essenzialmente dall’esistenza dell’interiorità e dell’aspirazione allo scopo negli esseri naturali viventi (p. 46), non costituisce infatti il «frutto di una previsione eterna di ciò che viene alla fine generato» (p. 63), ma – come ha meritevolmente dimostrato la dottrina darwiniana – si configura come mera possibilità interna al divenire della materia. Ricade dunque sull’uomo, in quanto unico depositario del «conoscere pensante e conseguentemente dell’agire secondo il libero arbitrio» (p. 89), il compito di «difendere la causa divina nel mondo» (p. 90) e di identificare la testimonianza dello spirito nel «gioco infinito della finitezza» originato dalla rinuncia di Dio alla propria potenza: «Lo spirito abbandonò totalmente se stesso e il proprio destino alla deriva di ciò che esplodeva verso l’esterno e quindi alle mere chance di possibilità ivi racchiuse, sotto le condizioni dello spazio e del tempo. Non è dato sapere perché lo abbia fatto; una legittima supposizione è che ciò sia accaduto perché solo […] nell’inesauribilità del caso, nelle sorprese del non progettato e nel tormento causato dalla mortalità, lo spirito può esperire se stesso nella molteplicità delle proprie possibilità. Ed è lecito supporre che la divinità volesse questo. In cambio, dunque, essa dovette rinunciare alla sua potenza. Come che sia, a partire da allora tutto si svolse solo nel regno dell’immanenza […] e il creato non ebbe assolutamente la forza di produrre nel proprio seno vie alternative» (p. 87). Col mito ipotetico della rinuncia divina alla propria potenza – formulato da Jonas già nel saggio Immortalità ed esistenza odierna (1962), oltre che nel celebre Il concetto di Dio dopo Auschwitz (1968) – l’autore può dunque chiarire l’origine spirituale e sovratemporale del reperto antropico, salvaguardare il postulato della libertà umana nel mondo e ricucire nello stesso tempo quella frattura tra fatti e valori, essere e dover essere, che il filosofo tedesco mostra di considerare come uno degli infausti «divieti posti dal modo di filosofare odierno» (p. 93). La coesistenza e l’interazione nella materia di dimensioni tra loro eterogenee come l’estensione e la coscienza, l’esteriorità e la soggettività impongono infatti all’uomo di riconoscere i frutti dell’evoluzione cosmica e di custodire l’«angolo terrestre di universo» nel quale, forse casualmente, la «possibilità dello spirito» concepita dal Creatore è divenuta attuale.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2012
Recensito da
Anno recensione 2013
ISBN 9788837225988
Comune Brescia
Pagine 104
Editore