Tiri mancini

Walter Benjamin e la critica italiana


Facilmente l’ideologia risulta più ottimista della sua critica, soprattutto quando la critica fa un doppio lavoro per portare a casa l’ideologia che le resta da fare. Un esempio è sicuramente la ricezione italiana di Walter Benjamin, il cui mestiere ingrato di recensore è stato ripagato a tarda ora dalla critica. Sulla vicenda benjaminiana in Italia torna a tirare le fila Girolamo De Michele, che non nasconde la vena polemica del suo assunto quasi krausiano: c’è qualcosa che diffonde lo spirito e distrugge la ricettività, solo che adesso non si tratta della stampa austriaca, ma dell’ideologia italiana, ancora tutta da scrivere. Lo spirito qui si traduce «nell’eccesso di esterofilia, nella smania di traduzione, nella ricerca dell’eclettismo a tutti i costi». A farne le spese, l’opera di colui che aspirava a diventare il più grande critico della letteratura tedesca e che, nella Germania irrequieta di fine anni ’20, a cavallo tra Parigi e Mosca, pensava di sferrare tutti i colpi decisivi con la mano sinistra. A guastare i piani, però, egli vedeva l’omino gobbo, personificazione popolare tedesca della sfortuna e parente di una famiglia d’intellettuali italiani con il peso della storia che non si scrolla dalle spalle. Per una serie di tiri mancini, argomenta De Michele, in Italia «Benjamin è stato iscritto d’ufficio ora nelle fila del pensiero negativo, ora fra gli irrazionalisti anti-moderni, ora fra gli abitanti dello Zeitgeist entro cui è maturata l’opera di Heidegger». Marxismo e anti-storicismo si sarebbero inseriti in un progetto comune contro il crocianesimo imperante e poi, sollecitati dalle nuove tendenze di pensiero della ribalta nietzscheano-heideggeriana, avrebbero lasciato impallidire sullo sfondo la possibilità di una rielaborazione gramsciana della teoria della storia. Forse un tentativo di uscita da quel provincialismo italiano che sul piano internazionale, negli anni ’70, era arrivato a comprendere Francoforte. Il risultato, quanto a Benjamin: un eclettico anti-storicista, con uno storicismo equivoco. De Michele mostra invece come, dietro l’equivoco dell’eclettismo, si possa ritrovare uno storicismo benjaminiano nella fiducia dell’integrale leggibilità del passato, concentrata nella critica del tempo presente, o nella ricostruzione della civiltà materiale di tipo annalistico. La rassegna delle importanti letture di Solmi, Desideri, Masini, Agamben, Cacciari, Bodei, viene bilanciata con una ripresa dello storicismo delle Annales francesi. La tesi è che i concetti storici possano reagire produttivamente con i concetti filosofici, teologici e psicanalitici, facendo saltare dal continuo narrativo gli estremi ideologici del concreto storico, gli eredi della storia universale e i loro critici reali: la controstoria ha inizio dal pessimismo del cronista.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2000
Recensito da
Anno recensione 2001
Comune Milano
Pagine 206
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