Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari


All’inizio del Cinquecento si era imposta l’idea secondo cui la repressione di tutte le eresie era di competenza dell’autorità politica; l’eretico, in effetti, era considerato da tutti i prìncipi un sedizioso, cioè un ribelle, che metteva in pericolo la stabilità dello Stato e l’ordine costituito. Tale idea era diffusa anche in Italia, ma le varie autorità dei numerosi Stati della penisola furono convinte dal papato che la lotta contro l’eresia sarebbe stata assai più efficace se condotta da un organismo centralizzato, diretto da Roma. Per almeno due secoli – scrive l’autore nella Premessa – il tribunale del Sant’Uffizio fu “l’unico potere centrale operante nella penisola italiana”; di conseguenza – prosegue Prosperi – “si converrà che nessuna storia dell’Italia moderna sarà completa finché non avremo una migliore conoscenza di questo tribunale, del suo modo di operare, del suo radicamento nella società e nelle istituzioni degli stati italiani preunitari” (p. XIV). I vari Stati, però, non delegarono al nuovo istituto ogni competenza sugli eretici del proprio territorio; a Venezia, soprattutto, la Repubblica riuscì ad imporre la presenza di propri rappresentanti agli interrogatori e nelle altre fasi dei processi più importanti. Inoltre, spesso, le autorità veneziane commutarono nel carcere a vita sentenze di morte emesse dall’Inquisizione oppure procedettero a esecuzioni discrete e nascoste, là dove il Sant’Uffizio avrebbe invece voluto atti pubblici, diretti ad ammonire e a spaventare le masse. Ben presto, tuttavia, ci si rese conto che una severa politica di repressione, da sola, non avrebbe davvero estirpato la piaga della diffusione dell’eresia, ovvero che “in battaglie di religione e di cultura vale più che in altre il principio che non basta vincere se non si sa convincere” (p. XV). A fianco della repressione, così, si attuò un’ampia e ramificata opera di “persuasione”, che ebbe nel sacramento della confessione e nella missione popolare i propri strumenti privilegiati. Spesso, la figura del confessore e quella del missionario che si rivolgeva alle “Indie interne”, cioè ai territori italiani bisognosi di una vera e propria nuova evangelizzazione cattolica, si sovrapposero una all’altra. Ciò avvenne soprattutto quando ad operare erano dei gesuiti; questi ultimi, invece, cercarono di restare il più possibile lontani dall’Inquisizione, cioè di ottenere la fiducia della gente con la loro discrezione e di riconquistare l’eretico col solo aiuto del pentimento, che si esprimeva, in segreto, nell’atto della confessione.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1996
Recensito da
Anno recensione 1998
Comune Torino
Pagine 708
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