La Lettera ai Romani

San Paolo e il cristianesimo delle origini

  • Antonio Pitta

    Professore di Esegesi del Nuovo Testamento - Pontificia Università Lateranense di Roma

  • venerdì 08 Aprile 2022 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

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Uno dei pochi elementi condivisi nel dibattito sulla Lettera ai Romani riguarda la sua autenticità: fu scritta da Paolo, verso la fine del terzo viaggio missionario, da Corinto, in un periodo che va dal 54, come data alta, al 58 d.C., come data bassa. L’unica fonte che attesta l’autorialità di questo scritto è la lettera stessa: non abbiamo altri riferimenti contemporanei che accennino all’invio di questa lettera alle comunità di Roma.

La datazione della lettera è stabilita dal confronto tra le notizie interne e quelle biografiche degli Atti degli apostoli. Poiché è quasi certo che Paolo comparve davanti a Gallione nel 51-52 d.C. e che si fermò a Efeso per altri due anni, la permanenza a Corinto comincia dal 54 d.C.: la composizione della Lettera ai Romani corrisponderebbe alle fugaci annotazioni lucane di At 20, 1-3, ossia prima del viaggio di ritorno verso Gerusalemme. La designazione di Corinto, come città di partenza della missiva, trova conferma nella sezione di Rm 16, in cui Paolo raccomanda ai destinatari la diaconessa Febe, proveniente da Cencre, uno dei porti di Corinto, e accenna ai saluti di Giasone ed Erasto, due credenti che trovano buone, anche se non certe, rispondenze nel contesto di Corinto. Queste prime coordinate permettono di focalizzare l’attenzione non su tre città o regioni chiamate in causa, come si sostiene generalmente, bensì su quattro: Corinto, Roma, Gerusalemme e la Spagna.

Il primo orizzonte è importante per il contenuto della lettera, perché permette di chiarire le precisazioni di Rm 3,8 e di Rm 16,17-20: le uniche annotazioni reali di Paolo su alcuni suoi oppositori. Di fatto, si può ben notare che la Lettera ai Romani non ha alcuno spessore apologetico o di difesa, tranne in queste parti in cui Paolo condanna alcuni diffamatori che lo accusano di fare il male in vista del bene e in cui invita i destinatari della lettera a stare in guardia da quanti cercano di sviarli dalla dottrina ricevuta. L’assenza di altri indizi nel corso della lettera a reali diffamatori lascia intendere che l’unico contesto nel quale tali asserzioni trovano spazio è quello di Corinto o, comunque, delle comunità paoline in cui egli si trova spesso a contrastare diffamazioni contro il suo vangelo, soprattutto in relazione alla legge mosaica.

Il secondo orizzonte topografico è quello di Roma: Paolo scrive ad alcune comunità che non ha fondato e delle quali conosce soltanto alcuni membri: è l’unico caso dell’epistolario paolino. Le sezioni propriamente epistolografiche dell’introduzione e della conclusione permettono di cogliere le ragioni principali per le quali egli scrive a cristiani che non ha evangelizzato: sono in prevalenza gentili, ossia credenti che comunque, dal punto di vista etnico, non sono israeliti; ha il vivo desiderio di raggiungerli, dopo la missione della colletta per i poveri della Chiesa di Gerusalemme; desidera anticipare, proprio attraverso la lettera, la presentazione fondamentale del suo vangelo; spera di poter essere ben accolto nelle comunità domestiche di Roma e si augura di essere aiutato in vista della futura fatica missionaria verso la Spagna.

Il progetto di viaggio per la Spagna pone in risalto come la Lettera ai Romani non sia l’ultimo testamento di Paolo, per quanto possiamo condividere che rappresenti il suo scritto più elevato dal punto di vista contenutistico (in seguito scriverà ancora la Lettera ai Filippesi e quella a Filemone), né i suoi progetti intendono concludersi a Roma ma orientano verso la Spagna. Anche se alcuni scorgono contraddizioni tra Rm 1, 8-15 e Rm 15, 14-32 in quanto all’inizio della lettera non si accenna alla missione in Spagna mentre se ne parla alla fine, sarebbe stato di cattivo gusto cominciare la lettera chiedendo ai destinatari, dei quali conosce soltanto alcuni, che lo aiutino a raggiungere la Spagna, soprattutto se si tratta di aiuti non semplicemente spirituali ma anche materiali o economici. Al contrario, il luogo ideale nel quale, con tatto, Paolo può accennare alla sua missione verso la Spagna è proprio quello della conclusione epistolare, ossia dopo aver consolidato, attraverso il corpo della lettera, la comunicazione con i destinatari.

Di non minore importanza, sulle coordinate spaziali del mittente, è Gerusalemme, che rappresenta la destinazione più prossima, al punto che alcuni considerano la stessa lettera indirizzata ai cristiani di Gerusalemme. Anche se questa è un’esagerazione, a causa dei dati sui destinatari della lettera, non si può negare che Paolo vive con ansia e preoccupazione il viaggio verso Gerusalemme, in particolare per il significato della colletta che le sue chiese della Macedonia e dell’Acaia (forse anche della Galazia) hanno raccolto. Se la colletta non sarà accettata, si rischierà di frantumare la comunione fra le chiese, perché finirà per essere considerato come un gesto di rifiuto verso le comunità paoline. Proprio il timore per la riuscita del ritorno a Gerusalemme è una delle ragioni principali per le quali Paolo indirizza la sua lettera più densa, dal punto di vista contenutistico, alle comunità domestiche di Roma: più volte è stato impedito di raggiungerle e da anni ha alimentato questo sogno; anche se spera di poterle raggiungere quanto prima, ha il fondato timore che insorgano nuove difficoltà. Per questo, Romani rappresenta, più che mai, una lettera concreta che relaziona interlocutori impossibilitati a comunicare direttamente fra loro. Da questa pluralità di orizzonti spaziali non ne emerge una sola ma risaltano più finalità nella redazione della lettera, riconducibili comunque all’ansia missionaria di Paolo di raggiungere alcuni cristiani che, come buona parte delle sue comunità, hanno aderito al suo vangelo.

 

(da A. Pitta, Lettera ai Romani. Nuova versione, introduzione e commento, Milano, Edizioni Paoline, 2001, pp. 20-22)

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