Il terrorismo internazionale

Delocalizzazione dei conflitti e fattori di rischio per la società civile

  • Luigi Bonanate

    Docente di Relazioni internazionali - Università di Torino

  • da mercoledì 09 Maggio 2001 a lunedì 14 Maggio 2001 - 21,00
Centro Culturale

Alla fine de XX secolo si può facilmente sostenere che il terrorismo sia stato uno, se non il principale, tra i suoi tratti distintivi dell’epoca, non perché non ne fossero mai apparse manifestazioni, ma perché nessun altro singolo problema ha probabilmente concentrato su di sé altrettanto impegno da parte di forze e punti di vista diversi. Non esiste praticamente paese al mondo, né qualche sua regione, che non abbia dovuto sperimentarne la presenza.

Emblematiche possono essere considerate le circostanze in cui la storia del terrorismo nel nostro secolo inizia e si conclude. La stessa Prima guerra mondiale vi può essere ricollegata, per l’attentato mortale che G. Prinzip portò contro l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, causando l’ultimatum che l’Austria inviò alla Serbia; pochi anni fa poi, nel luglio 1996, l’esplosione del volo 800 della TWA, avvenuta dopo il decollo da New York, nei giorni immediatamente precedenti l’inaugurazione delle Olimpiadi di Atlanta, fece scattare il più imponente sistema di allarme e controllo mai attivato nella storia, quando invece, per ammissione successiva della F.B.I., la causa era consistita in un guasto tecnico e non in un attentato terroristico.
Una volta precisati alcuni elementi minimi – che l’azione terroristica sia prevalentemente compiuta da gruppi organizzati, clandestini, che utilizzano la violenza non tanto per raggiungere un obbiettivo quanto per mostrare la propria capacità di colpirne anche di più importanti, comunque scelti all’interno della sfera della vita politica – dovremo rassegnarci ad ammettere l’impossibilità di giungere a una sola e condivisa definizione del terrorismo: centinaia e centinaia ne sono state proposte, senza che nessuna riuscisse a superare le critiche o le obbiezioni incrociate dei vari autori. Il fatto è che – specie nella società contemporanea – i modelli culturali di identificazione del terrorismo appaiono talmente automatici che il problema principale sembra non tanto quello della delimitazione delle fattispecie delle azioni terroristiche quanto quello della loro spiegazione.
In discussione entra così non tanto l’accettabilità o meno del disegno, quanto la struttura logica del messaggio terroristico, fondata su un “doppio binario”, e che la distingue, ancora una volta, da un altro possibile modello di comportamento, quello della guerra di guerriglia, o della guerra di popolo. Quest’ultima infatti affronta direttamente il suo nemico e costruisce la sua strategia ricorrendo a una panoplia di azioni (che ne comprendono anche, ma non soltanto, di terroristiche) che sono sempre telluricamente precisate (dato che il terreno, appunto, da liberare e / o da conquistare, è l’oggetto della lotta); il terrorismo affronta invece sempre, per definizione si potrebbe dire, due e diversissimi livelli di azione. Il terrorista infatti è ben consapevole che il successo della sua azione non può dipendere dalla conquista di un certo obbiettivo (come in guerra), perché la determinazione di ricorrere al terrorismo è assunta soltanto da forze che sono consapevoli della loro impossibilità a fronteggiare direttamente qualsivoglia avversario: la strategia assunta dovrà quindi essere indiretta, cioè mirare a sfiancare la resistenza dell’avversario attraverso la pressione che le singole e circoscritte operazioni terroristiche producono sull’opinione pubblica della quale l’avversario stesso deve tener conto.
Il fatto che la centralità del terrorismo contro le società democratiche si sia progressivamente ridotta, fino praticamente a scomparire (sono sopravvissute invece tutte quelle forme che hanno a che fare, a titoli pur tuttavia molto diversi, con l’idea di liberazione nazionale, indipendenza, separazione – si va così dalla continuità del terrorismo medio-orientale al terrorismo nord-irlandese, da quello basco a quello côrso, e così via) non ci libera dal dovere (ad un tempo intellettuale e morale) di sforzarci di “comprendere” le giustificazioni di una pratica di lotta tanto odiosa e allo stesso tempo tanto efficace e di successo da essere stata perseguita tante volte e con tanto clamore.
Particolare attenzione sarà, in questo quadro, dedicata alle manifestazioni più specificamente internazionali del fenomeno (pur tuttavia, e fortunatamente, in declino), essenzialmente allo scopo di mostrare quanto inconsistente questa strategia comunque risulti nei confronti del sistema internazionale.

Riferimenti Bibliografici


- L. Bonanate (a cura di), Dimensioni del terrorismo politico, Milano 1979;
- W. Laqueur, L'età del terrorismo, trad. it. Milano 1987;
- M. Wieviorka, Sociétés et terrorisme, Paris 1988;
- L. Bonanate, Terrorismo internazionale, Firenze 1994.

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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