La costruzione dei «fatti» nelle scienze umane

Esperienza, interpretazione, oggettività

  • Silvana Borutti

    Professoressa di Filosofia teoretica - Università di Pavia

  • venerdì 10 Novembre 2006 - 17.30
Centro Culturale

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Si può fare un’epistemologia delle scienze umane? Certamente, a patto di non intendere i saperi che riguardano l’uomo e la società come un territorio progressivamente annesso a una ragione scientifica già costituita, prospettiva che finisce per mantenere questi saperi nell’ombra di discipline epistemologicamente più forti. E a patto di non ripetere l’opposizione di comodo tra scienze naturali e scienze umane, basata su differenze sostanziali (diversi oggetti nell’enciclopedia delle scienze), o su differenze formali (diverse metodologie, come spiegazione e comprensione). Semmai, il problema delle scienze umane sollecita una riformulazione della stessa questione generale del conoscere. Sembra invece pertinente chiedersi: cosa fanno quelli che praticano una scienza? Come costruiscono i loro oggetti gli scienziati umani e sociali? È questa una prospettiva che può essere definita dell’oggettivazione: propone cioè di interrogarsi non direttamente sugli oggetti, ma sul loro “come”, la loro legittimità, i loro limiti – dunque sulle procedure che  fanno sì che questi oggetti appaiano come tali nelle nostre osservazioni, descrizioni, modellizzazioni, spiegazioni.
Sollecitati a partire dalle procedure con cui ce li presentiamo, gli oggetti del sapere antropologico e sociologico appaiono così come costrutti artificiali: non nel senso che dobbiamo considerarli come oggetti non reali, ma piuttosto nel senso che vanno pensati come oggetti non-naturali, non dati. Le condizioni dell’apparire degli oggetti sono varie e articolate, in relazione ai campi di conoscenza: sono di volta in volta procedure tecniche, sperimentali, modellizzanti, immaginative, finzionali, retorico-discorsive, narrative. E’ interessante notare come nella prospettiva dell’oggettivazione si mantengano e vengano trasformate le due esigenze, della spiegazione oggettiva e della comprensione del senso, sviluppate unilateralmente dal neopositivismo e dall’ermeneutica. In scienze umane si può parlare sia di oggettività che di comprensione: ma l’oggettività va intesa come lavoro in un contesto teorico-pratico, e non come riproduzione speculare e trasferimento sempre più adeguato di segmenti di realtà nelle nostre teorie; e la comprensione va intesa non come intuizione del senso, ma come una specifica forma di oggettivazione, in cui si costruisce un particolare contesto di relazione linguistico-temporale con l’oggetto.

«È solo riformulando il problema dell’oggettività che possiamo liberarci dal dilemma spiegazione/comprensione: l’oggettività non dipende da differenze sostanziali tra diversi oggetti dell’enciclopedia dei saperi, né da differenze formali fra i metodi, ma dalle procedure di oggettivazione in atto nei singoli saperi. Si tratta allora non tanto di confrontare le scienze umane con le scienze naturali come due tipi paradigmatici di scientificità, secondo l’antinomia tra la comprensione del particolare e la spiegazione attraverso leggi, quanto di pensare più in generale le procedure secondo cui gli oggetti dei vari domini scientifici diventano pensabili e trattabili.
Nella prospettiva dell’oggettivazione, si sospendono le false antinomie tra universale e unico, tra generale e particolare, tra nomotetico e idiografico, per pensare in generale “oggetti possibili”: come, e attraverso quali configurazioni formali, gli oggetti diventino pensabili. In questa prospettiva, non vediamo opporsi la natura alla storia, ma semmai consideriamo uno spettro che va dai saperi che tendono a organizzarsi integrando il rigore formale e matematico con la sperimentabilità, ai saperi le cui condizioni di presentazione empirica e le cui forme di oggettivazione e di rigore sono segnate in modo specifico dai processi di parola e dalla temporalità. Ciò tuttavia senza riproporre tipizzazioni oppositive: poiché in ogni dominio di oggettivazione scientifica si pongono, anche se in modi diversi, problemi epistemologici analoghi, e si realizzano forme di osservazione, sperimentazione, modellizzazione, argomentazione, spiegazione».
(da S. Borutti, Filosofia delle scienze umane, Milano, Bruno Mondadori, 1999, pp. 19-20)*

Riferimenti Bibliografici

-P. Bourdieu e L. Wacquant, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Torino, Bollati Boringhieri, 1992;* - H.-G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983;* - C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1987;* - H. Hahn, O. Neurath, R. Carnap, La concezione scientifica del mondo, Roma-Bari, Laterza, 1979; - C.G. Hempel, Aspetti della spiegazione scientifica, Milano, il Saggiatore, 1986;* - M. Pera, Scienza e retorica, Roma-Bari, Laterza, 1991; - F. Remotti, Filosofia e scienze sociali, in P. Rossi (a cura di), La filosofia, Torino, Utet, 1995, vol. II, pp. 269-318;* - W. Windelband, Le scienze naturali e la storia, in A. Marini (a cura di), Materiali per Dilthey, Milano, Franco Angeli, 2002.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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