Razza ed erudizione

Usi 'politici' della preistoria indoeuropea

  • giovedì 30 Novembre 2006 - 17.30
Centro Culturale

Oggi ci occuperemo di alcuni dei discorsi savants che hanno conferito una sorta di “nobiltà intellettuale” o di “legittimità accademica” a certi tipi di violenza sociale e politica che il XIX e XX secolo hanno identificato con diverse forme di razzismo e di antisemitismo. Quello che possiamo osservare è quante fables savants abbiano contribuito alle elaborazioni della nozione di razza. Seguendo le epoche e le mode, gli studiosi hanno adottato degli atteggiamenti intellettuali diversi nei confronti delle teorie razziali dell’umanità. L’antropologia, la linguistica, la psicologia, l’archeologia o la storia delle religioni hanno ispirato, talvolta, delle concezioni etniche e nazionaliste. Così la preistoria dell’Europa ha potuto trasformarsi nel mito dell’età dell’oro indoeuropea. Nella storia delle tensioni tra comunità, si individuano vari tipi di violenze sociali. Tra queste, il “razzismo” sembra avere uno statuto particolare nell’epoca moderna, poiché non cessa di cercare una legittimità in discorsi di tipo razionale, in argomentazioni che si fondano su costruzioni erudite formulate in norme accademiche. Questi discorsi, che hanno fornito qualche ragione savante a tali deliri sociali, sono spesso stati di tipo “genealogico” e “archeologico”. Oltre a materiali teologici e mitologici, viene mobilitato l’insieme delle scienze umane, spalleggiate da diversi usi delle scienze della natura. Per prima cosa un’avvertenza: Razza ed erudizione non formano una coppia concettuale. Non si tratta di una fatalità né di una necessità, e l’erudizione non ha evidentemente alcun bisogno dell’idea di razza per esercitarsi. L’inverso non è altrettanto certo, tanto che l’idea di “razza” si è sviluppata dal XVII al XX secolo in  contesti, spesso teorici, allo stesso tempo biologici (prima di divenire genetici), antropologici, psicologici, storici, linguistici, ma anche letterari e persino archeologici. Prendiamo un primo esempio concreto. L’archeologia del XX secolo come scienza razziale. Perché l’archeologia? Senza dubbio perché la ricerca delle origini è spesso stata strutturalmente legata con un desiderio di affermare una superiorità, trovandosi una genesi sublime. C’è, però, anche una ragione di attualità storiografica, legata all’esplorazione di fonti inedite. Infatti è solo dopo la caduta del muro di Berlino e dopo la scomparsa dei grandi savants dalla filologia e dell’archeologia tedesche, la cui attività era stata legata al Reich nazista, che una massa di archivi si sono aperti per i ricercatori – “documenti inediti sul ruolo politico e ideologico della disciplina archeologica al servizio del regime hitleriano”. L’archeologia è stata uno degli ambiti delle scienze umane più direttamente mobilitato per legittimare l’impresa di epurazione razziale e di germanizzazione forzata condotte dal terzo Reich. In effetti la conquista dell’Europa ha rapidamente fatto della ricerca archeologica tedesca uno strumento di legittimazione della politica razziale legata alla costruzione della “grande Germania”.

Riferimenti Bibliografici

- Ch. Delacampagne, L’invenzione del razzismo, Como-Pavia, Ibis, 1995;
- Id., Une histoire du racisme, Paris, Adler, 2000;
- C. Guillaumin, L’idéologie raciste, Paris, Mouton, 1972;
- L. Poliakov, Il mito ariano, Roma, Editori Riuniti, 1999;
- P.-A. Taguieff, Il razzismo, Milano, Raffello Cortina, 1999;*
- T. Todorov, Noi e gli altri, Torino, Einaudi, 1991.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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