Ricorrenti tanto nella sua biografia quanto nel suo immaginario, le distese acquee furono per Byron una dimensione densa di significati e, in primo luogo, uno spazio di affrancamento dai vincoli della fisicità e dalle costrizioni sociali e culturali. Claudicante per via di una deformità congenita, Byron viveva la terraferma con un senso di costante antagonismo verso gli ostacoli e le difficoltà che gli imponeva. Il mare gli si offrì, dunque, come luogo di possibilità di movimento e scoperta, capace al tempo stesso di riflettere un sé proteiforme, tormentato e ribelle, specchio di quella sensibilità «romantica» scaturita dai cambiamenti storico-culturali tra Settecento e Ottocento. In questa prospettiva, lo spazio acqueo costituisce per Byron un correlativo potente della sua identità, un’emanazione o un riflesso di essa. […]
Una posizione centrale nella produzione di Byron è occupata dal Mediterraneo, che egli percorse per la prima volta nel 1809 da Gibilterra fino al Levante, toccando la Sardegna e la Sicilia, poi Malta e le isole greche dello Ionio prima di attraccare in Albania e procedere via terra verso la Grecia continentale. In questo periodo, il mare interno è in un certo senso un mare inglese, visto che la Gran Bretagna, con la sua Royal Navy, è la principale potenza occidentale nello scacchiere mediterraneo. Nelle sue opere, tuttavia, Byron tende a raffigurare il Mediterraneo come un mare senza regole, percorso da pirati e avventurieri e da mercanti di esseri umani. Un mare che è luogo di scontri tra potenze in conflitto, come nel Giaurro, i cui personaggi principali, un avventuriero di origini veneziane e un pascià turco, incarnano le tensioni tra Oriente e Occidente che fanno da contesto a una trama frammentaria intessuta di passioni travolgenti e combattimenti sanguinosi. Un mare, inoltre, in cui la civiltà può tramutarsi improvvisamente in barbarie, come in Don Juan, dove, prima di approdare sull’isola di Haidée, il protagonista fa naufragio e, salvatosi su una scialuppa con pochi altri, si vede costretto al cannibalismo per sopravvivere.
Non solo la dimensione marina è ambientazione e tema portante in molte opere di Byron, ma il Mediterraneo è anche una componente essenziale della sua biografia e della sua leggenda personale, in particolare della sua permanenza in Italia e di come, in Italia, ci si è appropriati di Byron. Si prenda, per esempio, la controversa iscrizione posta nel 1877 all’ingresso della Grotta di Byron nei pressi di Portovenere, nelle Cinque Terre, in cui si celebrava la traversata a nuoto del poeta da Portovenere a Lerici («sfidò le onde del mare ligure») e dove si ricordava che la grotta gli aveva ispirato il «sublime poema il Corsaro». Di fatto, The Corsair era stato pubblicato nel 1814, cioè ben prima dell’arrivo di Byron in Liguria, ma l’errore è comunque significativo poiché rende palese il legame strettissimo tra il poeta, la sua opera, la sua figura (anche intesa nella sua fisicità), l’elemento acqueo e marino, e in special modo il Mediterraneo.
(da D. Saglia, Byron e il Mediterraneo: tra biografia e immaginario letterario, in Le isole di fantasia. Un viaggio immaginario di Lord Byron in Corsica e Sardegna, a cura di A. Accardo e D. Saglia, Roma, Donzelli, 2018)