Elogio del politeismo

Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche


Filologo classico di formazione, antropologo del mondo antico da quasi trent’anni, Bettini prosegue con questo fortunato volume il suo percorso di ricerca e divulgazione intorno ai temi della religiosità antica. La lettura è piuttosto scorrevole e l’articolazione del contenuto accattivante grazie alla scansione in una breve introduzione, quindici piccoli capitoli e due appendici. Qui di seguito si prova a dare una presentazione sintetica, seguendo sostanzialmente l’ordine di alcuni concetti chiave del libro e presentando alcune ulteriori riflessioni.
Monoteismo. Il nobile ebreo e storico Giuseppe Flavio, passato al servizio dei Romani dopo le guerre giudaiche del I secolo, nel Contra Apionem (II, 237) si rifà al precetto mosaico di non deridere o bestemmiare le altrui divinità per non compromettere il nome stesso di Dio (Es 22, 28). L’autore sottolinea la scelta di avvalersi della traduzione greca dei LXX, che modifica l’originale ebraico (non maledire, secondo la versione di Propp) e sposta l’attenzione soprattutto alla preservazione del nome, non tanto al contenuto teologico. Gli dèi stranieri sarebbero dunque per il monoteista non entità divine specifiche, bensì nomi da non confondere col proprio unico e vero dio. Curiosamente in epoca moderna Henry More (An Explanation of the Grand Mistery of the Godliness, 1660) introdurrà il termine monoteismo per indicare negativamente la pratica antica (testimoniata da Plutarco) di credere nel mondo creato come unico Dio: fare del mondo Dio equivale a non farne nulla (di Dio); e quindi questo tipo di monoteismo dei pagani è un vero e proprio ateismo alla stregua del loro politeismo
Politeismo. Il filosofo ed esegeta Filone di Alessandria (I secolo), caposcuola degli allegoristi d’epoca ellenistica, è il primo a impiegare il termine polytheia (e cognati) in numerose opere e sempre con accento negativo. In ambito cristiano è lo pseudo-Giustino del III secolo (Coohortatio ad Graecos XV, 1) a parlare di polytheomania, la follia di adorare molti dèi. Ancora nel XVI secolo, quasi un secolo prima di More, esordisce il termine politeismo a indicare non altre religioni, bensì eresie cristiane che parlavano di più principi divini quali il manicheismo, il marcionismo e la dottrina di Basilide: Polytheisme est un droict Atheisme (Jean Bodin, De la Demonomanie des Sorciers, 1580). Un pio uomo del mondo classico però mai si sarebbe definito politeista, né avrebbe pensato di avere/credere a una mitologia. Quel che per i moderni è divenuto un mero aspetto letterario o una piattaforma antropologica per la psicoanalisi, per gli antichi era semplicemente la religione professata, con le proprie preghiere, le proprie liturgie e la relativa casta sacerdotale. Il sistema di interpretatio, di traduzione da una lingua e una cultura (ex. Serapide-Esculapio) degli dèi stranieri entrati a far parte di un nuovo pantheon, testimonia di una tolleranza ragionata ed encomiabile che annullerebbe le tensioni interreligiose e intrareligiose che sconvolgono il mondo contemporaneo. L’intraducibilità è invece emblema del monoteismo esclusivo, che pertiene al nome proprio assoluto (non cercare un nome per Dio, il nome è Dio: Minucio Felice, Octavius, 18).
Idolatria. Similmente questo termine di accezione rigorosamente negativa originerebbe dalla scelta dei traduttori greci della Bibbia Ebraica che scelsero idola per rendere le immagini degli dèi che gli stranieri onoravano e che costituisce divieto per gli ebrei. Ma idolo indica piuttosto l’immagine inconsistente, fuggevole, e non tanto la statua di culto.
Feticcio. Stessa sorte per questo termine altrettanto negativo, che da artefatto di carattere magico (facticitus) passa a designare esclusivamente l’oggetto di culto delle religioni primitive tra le popolazioni africane o sudamericane svilendolo automaticamente.
Paganesimo. In un excursus viene proposta una breve nota storico-filologica al termine latino pagus che da mero abitante delle campagne diviene parola spregiativa nell’accezione attuale. Invero Cesare Baronio, filologo rinascimentale (Martyrologium Romanum, 1586), ebbe semplicemente a sottolineare che i seguaci delle antiche religioni dovettero ritirarsi nelle campagne in seguito alle leggi e alle persecuzioni imperiali che rendevano rischiosa la loro pratica spirituale nelle città. Ma nel tempo l’equazione pagano-non cristiano prese piede e divenne inscalfibile.
Sarebbe poi importante ricordare che vi sono numerosi episodi della cultura classica in cui la religione è chiamata in causa come propiziatrice di eventi sanguinosi. Due esempi nella letteratura greco-latina per tutti: il suicidio forzato di Socrate, accusato di non rispettare le divinità ateniesi (Socrate, Apologia, 36a) e la valenza religiosa dell’omicidio di Clodio, salutato quasi ai sensi del diritto divino politeista (Cicerone, Pro Milone, 85-87).
Il lavoro di Bettini fa infine intravedere la fine delle religioni monoteiste, o la loro rifusione in un mix indefinito forse più irenista ma teologicamente meno significativo. In questa prospettiva l’autore persegue un percorso già iniziato nel precedente volume Contro le radici, in cui sottolinea il nesso ambiguo e pericoloso tra identità, tradizione e memoria.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2014
Recensito da
Anno recensione 2015
ISBN 9788815250971
Comune Bologna
Pagine 160
Editore