Politiche di difesa

Governo dei conflitti e questioni geopolitiche

  • lunedì 14 Maggio 2001 - 21,00
Centro Culturale

L’Unione europea sta affrontando le sue sfide più complesse: la moneta, la politica estera e la difesa. È difficile immaginare come un’istituzione multilaterale, con alcuni elementi sovranazionali, ma ancora ben lungi dall’esprimere una capacità unitaria di governo, riuscirà a gestire con successo problematiche tanto difficili, che incidono profondamente sulla realtà della sovranità nazionale dei singoli Stati membri. In pochi anni sono stati fatti enormi passi avanti, dalla istituzione dell’Unione monetaria e della moneta unica, sino alle prime decisioni su una forza comune europea per la gestione delle crisi. Lo stesso tradizionale protezionismo europeo, nel settore degli armamenti, sta scomparendo, non tanto (o non solo) per le decisioni ancora timide prese dai governi europei, quanto perché la spinta della concorrenza americana e dei costi crescenti di ricerca e sviluppo hanno obbligato le grandi industrie europee a percorrere la strada delle integrazioni transnazionali, sino a un livello che sembra ormai irreversibile. Ancora non è chiaro, però, quale sarà la conclusione di questi processi.
Un punto cruciale è quello del voto a maggioranza qualificata, oggi limitato a pochissimi casi, e che dovrebbe essere esteso a una serie di altri campi, tra cui quelli del II e del III pilastro: politica estera, di sicurezza, di difesa e spazio giuridico interno. Vi sono su questo punto molte esitazioni, poiché la maggior parte dei paesi membri sembra convinta che, mentre potrebbe essere possibile votare a maggioranza sulla difesa (purché nessuno sia obbligato a partecipare a operazioni da lui non sottoscritte), sarebbe molto più difficile accettare una tale pratica per la politica estera. Si delinea qui un problema di fondo: è realmente possibile avere una politica di sicurezza e di difesa, dedicata in particolare alla gestione delle crisi, se essa non è strettamente collegata a una politica estera?
Vi è qui uno snodo che non è stato ancora esplorato a fondo, ma che potrebbe rivelarsi molto problematico. Nessuna operazione di gestione delle crisi può essere puramente militare. Di più, l’eventuale uso della forza militare non è che una fase in un continuum di politiche che includono sia approcci diplomatici che economici. Prima e dopo ogni intervento, la forza militare è solo uno strumento di politiche più ampie (anche se il suo impiego deve evidentemente rispondere a ben precisi criteri di efficacia e sicurezza). È difficile quindi immaginare una situazione in cui vi siano diversi livelli di responsabilità e meccanismi istituzionali, che spezzettino la politica di gestione in tanti frammenti tra loro scollegati: sarebbe la ricetta più sicura di un fallimento.

Riferimenti Bibliografici


- E. Letta, E adesso gli Stati Uniti d'Europa, in «Limes», 1999, n. 2;*
- A. Nativi, Spendere di più o rassegnarsi a contare meno, in «Limes», 1999, n. 4;*
- R. Seidelmann, La politica estera e di sicurezza comune nella CIG, in «Europa Europe», 2000, n. 4-5;
- S. Silvestri, Verso una politica di difesa europea, in «Europa Europe», 2000, n. 1.

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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