Si parte di solito da Aristotele, che enunciò la prima teoria delle forme di governo, quella «classica», fondata sulla distinzione fra monarchia (governo di uno solo, che può degenerare in tirannide), aristocrazia (governo dei «migliori», che può degenerare in oligarchia) e democrazia (governo del popolo che può degenerare in demagogia); ma il grande filosofo del diritto e della politica Norberto Bobbio, in un libro dedicato appunto alla teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico, risale ancor più dietro nel tempo fino a Erodoto. Si possono, poi, evocare Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, Thomas Hobbes e John Locke. E si può ricordare anche la letteratura che precedette la Rivoluzione francese (con le opere, per esempio, di Montesquieu e Rousseau) o quella che segnò l’inizio del nostro Risorgimento (a partire dal napoletano Vincenzo Cuoco) […]. Ma le classificazioni elaborate in epoche lontane non aiutano: non solo, e non tanto, perché riferite ad altri e diversi modelli sociali, ma soprattutto perché esse sono in genere frutto di un approccio proprio della filosofia politica (esse ignorano, per esempio, quell’utile distinzione fra forme di Stato e forme di governo).
In effetti le forme di governo si prestano a essere studiate sotto profili e con prospettive diverse. Il filosofo della politica dedica la sua attenzione alle concezioni e ai valori che sottostanno a quelle modalità organizzative e sulla base di esse esprimerà giudizi di valore volti a orientare le scelte. La domanda cui cerca di rispondere è: «quale forma organizzativa deve ritenersi la più giusta e/o la più opportuna moralmente?». Lo scienziato della politica dedica invece la sua attenzione a ricostruire come, in concreto, quelle modalità organizzative funzionano, cercando di rispondere alla domanda: «chi concorre, e in che misura, a prendere e ad attuare le decisioni collettive?». Il costituzionalista, infine, individua e descrive quali regole, nell’ambito del gruppo sociale considerato, disciplinano l’organizzazione e il funzionamento del meccanismo di assunzione e attuazione delle decisioni collettive, per poi dire come tali regole possono essere interpretate. La domanda cui cerca di rispondere è: «a chi spetta decidere e attraverso quale procedimento? Cosa prescrive a tal fine la Costituzione?».
A loro volta, gli storici (del pensiero politico, della società, delle istituzioni) descrivono (diacronicamente) l’evoluzione nel tempo delle modalità organizzative di cui si parla, mentre i comparatisti mettono a raffronto (sincronicamente) le soluzioni organizzative adottate dai diversi gruppi sociali. Insomma: per una buona, e dunque utile, comprensione delle forme di governo è necessario adottare un approccio multidisciplinare che integri i singoli approcci settoriali. Il comparatista in particolare, cioè colui che intende mettere a raffronto le soluzioni individuate in contesti diversi (per esempio a livelli territoriali diversi ovvero, più comunemente […] in ordinamenti statuali diversi), non può rinunciare al contributo di quelle discipline che descrivono nei suoi diversi aspetti la realtà delle società di cui sono espressione gli ordinamenti studiati. E ciò per poter valutare le caratteristiche di tali diversi contesti e la loro influenza sul modo in cui le regole giuridiche trovano in concreto applicazione. Per esempio, se vogliamo conoscere e utilizzare l’esperienza della forma di governo attuale della Francia, sarà sì utile studiare ciò che le norme costituzionali scritte e non scritte prevedono, e come vengono prevalentemente interpretate dalla dottrina e soprattutto dai tribunali e dai titolari dei principali organi costituzionali francesi, ma sarà altrettanto utile studiare: a) qual è il comportamento effettivo dei diversi soggetti dell’ordinamento francese; b) quali sono le concezioni politico-istituzionali sottese alle soluzioni organizzative adottate; c) qual è la storia dell’evoluzione della forma di governo francese; d) quali sono le ulteriori principali caratteristiche che illustrano la specificità del contesto nel quale la forma di governo francese attualmente vigente ha trovato la sua origine e si è evoluta fino a oggi. Qualsiasi approccio che prescinda da una tale integrazione di conoscenze è destinato a dare cattivi risultati. Sono connessi in misura particolarmente stretta l’approccio giuridico e quello politologico. Non è possibile descrivere compiutamente come un popolo si governa senza conoscere i presupposti giuridico-formali dell’ordinamento del governo (cioè la struttura di governo); ma non è possibile valutare l’organizzazione giuridico-formale del potere senza tenere conto del contesto politico nel quale essa si colloca, nonché delle reciproche interferenze e influenze. Si può dire, così, che la forma di governo costituisce una sorta di guida, all’interno della quale si pone (e quindi può essere valutato) il concreto atteggiarsi dei soggetti protagonisti di quel sistema di decisioni collettive (cioè il sistema politico istituzionale).
(da A. Barbera et al., Il governo delle democrazie, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 11-14)*
Riferimenti Bibliografici
- N. Bobbio, La teoria delle forme di governo, Torino, Giappichelli, 1976;*
- A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, Bologna, il Mulino, 2001;*
- G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Bologna, il Mulino, 2004;
- S. Vassallo, Sistemi politici comparati, Bologna, il Mulino, 2005.
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