Modelli di federalismo

Dimensione territoriale e cambiamento istituzionale negli Stati europei

  • Sofia Ventura

    Professoressa di Scienza politica - Università di Bologna

  • venerdì 25 Febbraio 2011 - 17.30
Centro Culturale

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Se è vero che le esperienze federative nella plurimillenaria esperienza umana della costruzione di ordini politici hanno, nel tempo e nello spazio, assunto le forme più diverse, esse nell’epoca moderna hanno acquisito (in maniera preponderante, ancorché non esclusiva) una serie di tratti caratteristici comuni che nel loro insieme denotano ciò che oggi chiamiamo Stato federale. A partire dalla prima federazione che ha assunto una vera e propria forma statuale, gli Stati Uniti d’America, lo Stato federale è stato definito, con una definizione che trova riscontro nelle analisi dei più importanti studiosi classici del federalismo, come «un’associazione di Stati ordinata in modo che i poteri siano divisi fra un governo centrale, il quale in diverse materie […] è indipendente dal governo degli Stati associati, e i governi degli Stati i quali a loro volta sono, in determinate materie, indipendenti dal governo centrale. Ciò implica necessariamente che entrambi i governi, quello centrale e quelli regionali, esercitino il loro potere direttamente sul popolo, e che ogni cittadino pertanto sia soggetto a due governi» (Kenneth C. Wheare). Un siffatto sistema politico non sarà semplicemente decentrato se, seguendo Daniel J. Elazar, con questa espressione intendiamo la presenza di un sistema con un governo centrale «che può decentralizzarsi o ricentralizzarsi a proprio piacere» e ove la diffusione del potere è una concessione, non un diritto. Piuttosto, esso sarà non centralizzato, con un potere tanto diffuso da non poter essere legittimamente centralizzato o concentrato senza violare la struttura e lo spirito della costituzione.
Ponendosi in una prospettiva diacronica, Carl Joachim Friedrich ha interpretato ogni forma federativa, e quindi anche quella statuale, come l’esito di un processo di federalizzazione ove organizzazioni politiche precedentemente separate partecipano a un accordo in vista dell’elaborazione e adozione di politiche comuni per affrontare problemi comuni. Al tempo stesso, però, accanto a questa genesi associativa, egli ha anche posto la possibilità di una genesi opposta, per dissociazione, vale a dire la differenziazione di una comunità politica unitaria in comunità politiche distinte, organizzate in modo separato e in grado di risolvere autonomamente i problemi non più condivisi. In entrambi i casi l’esito è un assetto istituzionale che riflette (come controparte organizzativa) la presenza di modelli territorialmente diversificati di interessi, valori e credenze accanto a valori, interessi e credenze comuni della comunità più inclusiva. E che costituisce la risposta all’evoluzione della vita comunitaria verso una maggiore diversificazione o verso l’unificazione.

[…]

I nuovi federalismi presentano, rispetto a quelli tradizionali, un diverso equilibrio tra la dimensione del «governo condiviso» e quella dell’«autonomia» delle unità componenti. Nei federalismi sorti per unione la creazione di istituzioni a livello centrale aveva costituito la logica conseguenza della volontà delle entità preesistenti di porre in essere un nuovo assetto istituzionale, «per prendere insieme decisioni riguardanti problemi comuni» (Carl J. Friedrich). Nei sistemi scaturiti da processi di devoluzione, invece, il motore del cambiamento è stato la volontà di gruppi organizzati e in grado di raccogliere consenso in specifiche aree del paese, di ottenere istituzioni che garantissero forme di governo autonomo a livello sub-statale. Per questa ragione, l’accento è stato posto più sulla definizione della natura di quelle istituzioni e sui loro poteri, piuttosto che sulla messa a punto di luoghi di confronto e coordinamento a livello nazionale. In tutti i casi analizzati, ad un certo punto del processo di devoluzione sono state definite forme di coordinamento tra i diversi livelli di governo; tra queste le conferenze intergovernative e interministeriali, che però solo in modo molto parziale rispondono all’obiettivo di un’effettiva rappresentanza dei governi devoluti in sede nazionale. Ma è, in particolare, l’assenza di vere e proprie camere alte federali che differenzia in modo significativo i federalismi per associazione da quelli per devoluzione.

(da S. Ventura, a cura di, Da Stato unitario a Stato federale, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 7-8, 206)

Riferimenti Bibliografici

- D.J. Elazar, Idee e forme del federalismo, Milano, Comunità, 1995; - C.J. Friedrich, L'uomo, la comunità, l'ordine politico, Bologna, il Mulino, 2002;* - S. Ventura, Il federalismo, Bologna, il Mulino, 2002;* - K.C. Wheare, Del governo federale, Bologna, il Mulino, 1997.

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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