La formula paolino-agostiniana “nulla potestas nisi a Deo” rimanda al problema di fondo della filosofia politica: quello della legittimazione della sovranità intesa come “summa potestas” investita del monopolio dell’autorità coattiva. Due sono le possibilità. Quella di una spiegazione razionale e terrena nei termini di una autorità esclusivamente umana. Pur nella loro diversità è questo il caso della polis greca e del Leviatano di Hobbes. L’altra possibilità è quella del ricorso al fattore esterno di una metafisica che inscrive e subordina le ragioni di esistenza della città terrena alle finalità ultramondane di una Civitas Dei. E’ questa la soluzione impostasi nell’universo cristiano-medievale, dove ogni forma di obbedienza politica si configura innanzi tutto come obbligo religioso nel contesto di una teologia e teleologia del mondo. E al di là del tentativo di papa Gelasio di separare le rispettive sfere della spada spirituale e della spada temporale, la dualità conflittuale dei due poteri tende a risolversi in una teocrazia egemonizzata dalla “plenitudo potestatis” del pontefice, vicario di Cristo in terra e unico detentore di una suprema “auctoritas” inglobante in sé ambedue le spade.
La crisi della teocrazia papale, implicita nella difficile coesistenza di intramondano e ultramondano, è definitivamente innescata dalla Riforma di Lutero. Ha inizio con Bodin e si conclude con Hobbes il processo della “secolarizzazione” che ripropone uno stato razionale laico concepito nella prospettiva di una scienza della politica. Viene così relegata sullo sfondo di un mito delle origini la sua fondazione divina e viene invece cercata nella sua stessa costituzione la legittimazione della sua esistenza, ad esclusione di qualsiasi riferimento ad un potere trascendente. Come dice Hobbes, il Leviatano, nato attraverso il patto da una delega totale e irreversibile di tutti i governati, è un “Dio mortale”. La sua assoluta sovranità si giustifica sulla base di principi razionali che sono mutuati dai teoremi della geometria. Lo spazio della politica è soggetto alle stesse leggi fisiche e meccaniche dei corpi della natura e l’entità “stato” dotata del monopolio dell’autorità coattiva è costruita secondo le leggi costitutive della natura umana. Ma si tratta pur sempre di un “Dio”. La secolarizzazione dello stato attuatasi con il Leviatano non ha risolto il problema. Essa porta in sè e con sè le contraddizioni da cui è nata. Essa tende a riprodurre in forma capovolta quella dualità interna alla teologia cristiano-medievale che ha apparentemente neutralizzato. Il paradosso della secolarizzazione è connaturato alla stessa formazione dello stato moderno: la sua razionalizzazione in termini di centralizzazione e burocratizzazione è il risultato della crisi e statalizzazione della chiesa, ma la sua insopprimibile esigenza di porsi e imporsi come summa potestas si attua attraverso una sua ecclesiasticizzazione e ritualizzazione sacrale. Questo ritorno del “sacro” è in qualche modo implicito nell’immagine hobbesiana del “Dio mortale” e restituisce tutta la sua attualità alle esigenze insite nella formula paolina nell’ambito stesso della cosiddetta modernità.
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