Torah

Rivelazione e interpretazione nell’ebraismo

  • venerdì 29 Ottobre 2021 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

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Se proprio dovessi dare una definizione che sia fenomenologicamente corretta, direi che l’ebreo, il cristiano e il musulmano professano ciascuno una «religione dell’interpretazione del libro», dove l’accento cade sul termine mediano di «interpretazione». Termine mediano nel senso che «media» tra la fede (qualunque cosa si intenda per essa) e il libro come testo sacro ricevuto da Dio e come tale trasmesso in forma intangibile nel corso delle generazioni. E nel senso che senza l’interpretazione e senza la storia di quest’arte intrinsecamente religiosa – come ha mostrato uno dei padri dell’ermeneutica contemporanea, Hans-Georg Gadamer – né il libro servirebbe alla fede né la fede si sentirebbe vincolata a un testo sacro. A me pare si possa dire che né la Torà, che costituisce la parte centrale del Tanakh nella tradizione ebraica; né i Vangeli e più in generale il Nuovo Testamento dei cristiani; né il Corano e la Sunna (la raccolta dei detti del profeta Muhammad) sono testi che i credenti ricevono senza una catena storica di interpretazioni orali. Anzi, proprio tale storia ermeneutica di oralità, a sua volta ricevuta e trasmessa, costituisce l’alveo principale della vita religiosa delle tre religioni monoteiste.

Nel giudaismo la distinzione tra Torà orale e Torà scritta è fondamentale e rappresenta, non a caso, un punto di distinzione con il cristianesimo. Quest’ultimo, infatti, condivide con il giudaismo – essendo nato in esso – tutto il patrimonio della Torà scritta, esistente fino all’epoca di Gesù, ma non i testi ebraici successivi come il Talmud. Ora, il Talmud è il cuore della Torà orale, ossia l’insieme delle interpretazioni e delle regole esegetiche e della giurisprudenza religiosa (halakhà) con cui la Bibbia ebraica – intesa come Torà scritta – viene letta e applicata alla vita degli ebrei. Da duemila anni i depositari di questa arte dell’interpretazione ebraica sono i «maestri», ovvero i rabbini, che non sono i preti del giudaismo ma solo degli studiosi che hanno approfondito la conoscenza del «libro sacro» e delle sue interpretazioni date nel corso delle generazioni, e che quindi hanno titolo per aggiungere altre interpretazioni e nuove applicazioni a quelle già date. Per questo si dice, a ragione, che il giudaismo sia più una religione del commento che una religione del libro.

 

(da M. Giuliani, I monoteismi e l’arte di interpretare, in Id., Le tende di Abramo. Ebraismo, cristianesimo, islam: interpretare un’eredità comune, Trento, Il Margine, 2007, pp. 42-44)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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