Vulnerabile umanità

Trasformazioni dell'homo faber nell'età globale

Festival Filosofia

La condizione di vulnerabilità, fragilità e insicurezza che caratterizza oggi l'umanità è un tema con cui si è già avuta una certa familiarità, ma che proprio per questo vale la pena di mettere meglio a fuoco.
In questa direzione, Elena Pulcini vuole mostrare come il carattere di vulnerabilità non appartenga soltanto alla contemporaneità, in quanto può essere considerato, oltre che un argomento proprio della riflessione antropologica, un risultato della modernità.
Si trova in particolare nell'individuo moderno un'ambivalenza costitutiva, che ne sottolinea al contempo la sovranità e la debolezza, sempre in conflitto tra l'apertura di orizzonti illimitati e allo stesso tempo la perdita di un ordine stabile. Nel corso della modernità il passaggio successivo è rappresentato dalla perdita della consapevolezza di questa condizione ambivalente, a causa del successo e dell'egemonia di quella figura chiave della modernità che è l'homo faber:  l'uomo che fabbrica e crea, tutto teso alla propria autoaffermazione, mosso da una hybris prometeica, cioè dalla sua volontà illimitata di autoaffermazione.
Il problema vero nasce però, ha spiegato Elena Pulcini, quando l'homo faber si perverte nella figura dell'homo creator, attraverso la quale si giunge nella postmodernità: grazie alla tecnica egli diviene capace di modificare e creare non più soltanto il mondo esterno e la natura, ma l'uomo stesso, il suo corpo, la sua stessa vita, senza però poter prevedere le conseguenze del proprio fare. Questa sfasatura tra l'illimitato potere di fare e l'incapacità di immaginare le conseguenze del proprio produrre, da Anders definita "dislivello prometeico", è rappresentata da rischi che sono diventati "globali", in quanto effetti imprevedibili e incontrollabili, che si diffondono su scala planetaria, rendendo così la vulnerabilità una condizione che concerne non più soltanto all'individuo, ma all'intera umanità. Recuperare questo dislivello, che non è soltanto una discrasia, uno scarto tra il fare e l'immaginare, ma anche tra il sapere e il sentire, vuole dire secondo Elena Pulcini, scommettere sul fatto che lo spettro della distruzione spinga gli uomini ad una sorta di risveglio emotivo, non tanto come sostenuto da Jonas, ponendosi il problema delle generazioni future, quanto a partire dal sentimento della propria stessa vulnerabilità.

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