Coscienza come relazione

La natura prospettica della persona

  • Virgilio Melchiorre

    Professore emerito di Filosofia morale - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

  • mercoledì 19 Novembre 2008 - 17.30
Centro Culturale

Non si tratta di rinunziare all’esercizio della ragione, ma di modellarne le forme sulla base di un’«esperienza progressiva», quella appunto della «vita personale». Si aggiunga però che la difficoltà non viene solo dal carattere mutevole e progressivo della vita personale: viene ad un tempo dall’impossibilità di isolare o di distinguere in sé ciò che invece è sempre dato in relazione. Il dato più originale della persona, come della coscienza, non è mai «uno stato, sia pur sottile, unico. È un’affermazione, colta come tale, per se stessa, prima nel suo esercizio e, dopo, nella propria riflessione sulla sua attività» (E. Mounier). Vale a dire che la coscienza si dà originariamente sempre come coscienza-di, come relazione che non può essere interpretata al modo di un semplice oggetto: soggetto e oggetto sono l’unità dell’esperienza reale e la persona «non apprende se stessa che come già situata e comunicata in questa inserzione originale. Essa non si deve immaginare alla maniera d’un contenuto, di una identità astratta: non si definisce, ma sorge, si espone, affronta». Ciò significa che essa non è mai data in sé e per sé, ma sempre in relazione, come un con-essere, un Mit-sein: «Verso altri e anche in altri, verso il mondo e nel mondo». Approfondendo questa struttura relazionale, si dovrà poi riconoscere che essa costituisce anche un rapporto metafisico: una negatività originaria ci fonda e ci attraversa, ma questa negatività non è a ben vedere che il segno o il nascondimento di una presenza assoluta. Il nulla non è, e il riconoscimento di ogni negatività suppone sempre un rapporto più originario con l’Essere […]. D’altra parte la coscienza dell’Assoluto, dell’Essere, non è data che attraverso la negatività insuperabile dell’esistenza ed è pertanto velata da una relazione che non giunge mai a esaurirsi, che non potrà mai esperire assolutamente l’assolutezza dell’essere: per questo la percezione dell’Assoluto è la percezione di un mistero, nel senso più proprio della parola, e la stessa persona dell’uomo in quanto relazione metafisica si costituisce allora come un mistero. L’indefinibilità della persona si fonda dunque nel suo carattere processuale e nella sua inoggettivabilità, nel suo essere relazione e relazione che da ultimo si palesa come inesauribile.
(da V. Melchiorre, Corpo e persona, Genova, Marietti, 1997, pp. 3-4)*

Riferimenti Bibliografici

- M. Henry, Fenomenologia materiale, Milano, 2001;*
- E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino, 2002;*
- M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Milano, 2003;*
- E. Mounier, Che cos'è il personalismo?, Torino, 1975.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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