Fonè - step 2

Maria Pia De Vito meets Yaron Herman prima nazionale

Festival Filosofia

Maria Pia De Vito – voce, live electronics.
Yaron Herman – piano

L’incontro di Maria Pia de Vito con la nuova stella del pianismo francese, Yaron Herman, segna un nuovo capitolo nel lavoro sulla Fonè intrapreso da lei un decennio fa (con un magnifico lavoro che vedeva al suo fianco, tra gli altri, John Taylor e Gianluigi Trovesi), e continua la sua traiettoria di sviluppo e ricerca sui modi in cui la voce “fa” il mondo. Canta le azioni della voce. Espone una molteplicità di gesti vocali. E così incrina ed interrompe il mito della Voce: non c’è voce separabile dai gesti con cui esistiamo ed abitiamo il mondo.
Come si può, in musica, dare voce alla Fonè, al grado zero della comunicazione? Forse l’unica strada è aprire mille finestre su mille mondi possibili, esercitare uno sguardo curioso perennemente in ascolto, essere nel jazz e al di fuori del jazz ignorando steccati stilistici ed etichette.
E’ così che la voce di Maria Pia de Vito, snodandosi tra lingue conosciute e sconosciute, tra suoni e sonorità che si fondono nelle forme della danza per attivare l’improvvisazione, si fa quasi unico e necessario comun denominatore tra una canzone, un tala indiano, una melodia europea e la stessa moltiplicazione elettronica della voce che diventa controparte ritmica nel dialogo continuo col pianoforte di Yaron Herman, capace a sua volta di armonia dolcissima, di melodia lirica e liquida, di fluviale improvvisazione (flusso di coscienza "à la Coltrane" o "à la Jarret", volendo usare dei riferimenti interni al mondo del jazz, matrice di appartenenza di entrambi i musicisti).
Un duo piano-voce che dimostra di avere esattamente la mano sul polso del tempo, ulteriormente rafforzata nella sua contemporaneità da un approccio mentale che non si vergogna (né ha paura) della tradizione.

Cantante, compositrice, arrangiatrice, Maria Pia de Vito studia canto lirico e contemporaneo e inizia l’attività concertistica nel 1976 come cantante e strumentista (plettri, percussioni, piano) in gruppi di ricerca su musica etnica, polifonia etnica e non, in particolare dell’area mediterranea, balcanica e sudamericana.
Dall’80 è attiva in campo jazzistico, collaborando stabilmente con musicisti quali John Taylor, Ralph Towner, Rita Marcotulli, Ernst Rejiseger, Paolo Fresu, Norma Winstone, Steve Swallow, Gianluigi Trovesi ed esibendosi con musicisti del calibro di Joe Zawinful, Michael Brecker, Miroslav Vitous, Uri Caine, Dave Liebman, Billy Hart, Eliot Ziegmund, Cameron Brown, Steve Turre, Maria Joao, Ramamani Ramanujan , David Linx, Diederik Wissels e molti altri, partecipando ai più importanti festival internazionali e svolgendo tournèe in Europa e oltreoceano.
Dopo 15 anni di pratica del jazz, un lungo lavoro sul grande songbook americano, sullo scat ed il be-bop, i primi sconfinamenti nel free ed incontri con il jazz europeo, dal ‘94 inizia una nuova fase del suo lavoro con il progetto Nauplia, ideato e diretto insieme a Rita Marcotulli. che tende al recupero di una vocalità dalle matrici profonde, nell’incontro tra il meticciato jazzistico e le peculiarità multiformi del canto napoletano (Nauplia, Fore Paese, Triboh).
Il lavoro sulle possibilità di improvvisazione della voce a contatto con diversi contesti culturali diventa la matrice del suo “nuovo corso”, di cui il primo passo è Phonè, un lavoro sulla voce che precede il linguaggio, sul ritmo e sulla danza nelle loro diverse declinazioni culturali; è un progetto che segna l’inizio della collaborazione con John Taylor.
Dal 1996 collabora con il compositore britannico Colin Towns e la sua Big Band, la “Mask Orchestra”, con cui si è esibita nei maggiori festival inglesi e tedeschi, in particolare alla Queen Elizabeth Hall di Londra con la "Mask Symphonic" (70 elementi) e la co-partecipazione di Norma Winstone.
Nel 1997 si costituisce il trio con John Taylor e Ralph Towner, con cui ha inciso il cd Verso, svolto diverse tournée in Italia ed un lungo tour europeo nel corso del 2001. Nello stesso anno, il suo nome di è stato inserito, dalle più celebrate firme del giornalismo jazz americano, nella categoria Beyond Artist del 49° Down Beat Critics Poll 2001. L’importantissimo riconoscimento l’ha definitivamente imposta a livello internazionale.
E’ del 2002 il cd Nel Respiro, che la vede ancora insieme a John Taylor e Ralph Towner, con la partecipazione di Steve Swallow e Patrice Heral, con il quale inizia una fruttuosa collaborazione artistica.
Sono invece del 2003 il progetto e il cd Tumulti, che rappresentano il suo lavoro più sperimentale ed orientato all’interazione tra voce, improvvisazione e elettronica, al fianco di Patrice Heral, co-leader del progetto e con la collaborazione del geniale violoncellista Ernst Reijseger e del pianista austriaco Paul Urbanek, pluripremiato nel suo paese per i suoi lavori di “reverse composing”. Il lavoro, accolto con enorme favore della critica, si esibisce in festival jazz in Italia e all’estero.
Il suo ultimo lavoro, So Right (2005), la vede impegnata, insieme ai co-leader Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e all’apporto del batterista Aldo Romano, in una riflessione sulla forma canzone, attraverso la composizione di brani originali e la reinterpretazione di brani di Joni Mitchell.
Recente, ma già molto fortunata, è invece la collaborazione con il clavicembalista, organista e direttore d’orchestra Claudio Astronio, nome assai noto nell’ambito della musica barocca internazionale. L’incontro tra l’improvvisazione e la vocalità barocca – già parte del bagaglio esperienziale della De Vito – sono il fulcro dei loro progetti comuni: Chaconne (voce barocca, voce moderna, live electronics, clavicembalo, tiorba, violoncello, arpa doppia), Coplas a lo divino (musica sacra antica e contemporanea per organo a canne, voce ed elettronica) ed il duo La danza della voce (clavicembalo, voce ed elettronica).
Hanno scritto per lei penne celebri del jazz come Ralph Towner, John Taylor, Bruno Tommaso, Giorgio Gaslini. L’ultimo grande nome è quello del maestro Roberto de Simone, che ha composto per lei una riscrittura della Fantasia Cromatica di J.S.Bach, registrata nel cd Specula e gemini, che vede anche una riscrittura di Monteverdi da parte di Bruno Tommaso.

Yaron Herman è nato a Tel Aviv il 12 luglio 1981. Ha iniziato lo studio del piano relativamente tardi, all’età di 16 anni, con il maestro Opher Brayer, famoso per la sua metodologia di insegnamento basata sulla filosofia, la matematica e la psicologia. Solamente due anni dopo Herman vince il prestigioso Rimon prize nella categoria “Junior talent”. Si tratta di un caso unico nella storia della musica e del piano, e una delle più stupefacenti rivelazioni, certamente dovuta alla grande e precoce intelligenza del talentuoso ragazzo. Herman incomincia ad esibirsi nelle più prestigiose sale da concerto di Israele (The Tel-Aviv Museum , the Tel-Aviv Cinematek , The Camelot, Givataim Theatre, Beit Lesin Theatre, Einav Center). A 19 anni si trasferisce a Boston, dove intende frequentare il Berklee College School of Music. Tuttavia, il giovane ragazzo avido di conoscenza e di scoperte non trova quanto stava cercando in un sistema basato sulla competizione a spese della realizzazione di sé. Dopo due mesi decide di tornare a Tel Aviv, programmando una breve sosta a Parigi lungo il viaggio di ritorno. La prima sera a Parigi incontra alcuni musicisti durante una jam session, e il giorno dopo firma il primo contratto. Da quel momento non ha più lasciato Parigi. Il suo debutto è stato un periodo di incontri e scambi musicali che gli hanno permesso di lasciare il segno e guadagnare il riconoscimento della scena musicale parigina. Ha stupito per la giovane età, il talento e la passione e in breve è divenuto il pianista citato da tutti con ammirazione e sorpresa. Una giuria unanime gli ha assegnato il New talents trophy del Sunside jazz club. A 21 anni ha registrato il primo album per la prestigiosa etichetta Sketch (prodotto dall’altrettanto talentuoso Philippe Ghielmetti). L’album, Takes 2 to Know 1, ospita il batterista Sylvain Ghio, complice musicale e amico di lunga data. Ancora una volta la formula piano-batteria stupisce, sorprende e guadagna apprezzamenti unanimi dalla stampa. Quando interrogato sulle sue impressioni a proposito di questo giovane prodigio, Georges Avakian, il produttore di Kind of Blue di Miles Davis e delle prime incisioni di Keith Jarrett, ha risposto con questa frase: «Yaron is the real thing!». Ancora più stupefacente è la profondità della ricerca. Herman ha sviluppato una teoria della musica e dell’improvvisazione chiamata Real Time Composition, grazie alla quale è stato invitato da Laurent Cugny come lettore ospite per una serie di conferenza alla Sorbona. Musica, filosofia, matematica si incontrano su un terreno in cui il musicista dimostra di essere un lettore esperto e autorevole. Egli analizza brillantemente la musica dei suoi maestri, in particolare Keith Jarrett, Paul Bley, John Coltrane, Lennie Tristano, così come di Bach, considerato tra i musicisti che maggiormente lo hanno influenzato, assieme al folklore tradizionale della sua patria e agli artisti pop della sua generazione (Björk, Beasty Boys…). Oggi, 25enne, il pianista prodigio ha intrapreso una serie di tour in Europa, in solo o in duo, alternando armoniosamente concerti e letture per il grande piacere di platee affascinate ed ammirate, invariabilmente rapite dalle sue esibizioni.


Baluardo della Cittadella
Piazza Giovanni Di Tien An Men, 5 – Modena
Telefono: 059 4279328

Altre conferenze del ciclo

Torna all'archivio conferenze