Il martirio spirituale nella tradizione dell'India

La Bhagavad-gîtâ e la guerra interiore

  • martedì 09 Novembre 2004 - 17.30
Centro Studi Religiosi

Il tema centrale e il filo conduttore dell’intera Gîtâ scaturiscono da una riflessione che individua nell’azione priva di attaccamento ai suoi frutti – e, quindi, priva di desiderio – il vero yoga, la via maestra che può consentire all’uomo di passare attraverso l’esperienza terrena senza esserne contaminato e senza contrarre legami che gli impediscano di raggiungere il fine ultimo dell’unione con Dio.
(da S. Piano, Saggio introduttivo, in Id. (a cura di), Bhagavad-Gîtâ. Il canto del glorioso Signore, Milano, Edizioni San Paolo, 1994, p. 40)*

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Alcuni yogin attendono solo al rito sacrificale
consacrato agli dèi luminosi;
altri offrono solo col sacrificio il sacrificio
in quel fuoco sacrificale che è il Brahman;

altri sacrificano l’udito e gli altri sensi
nei fuochi del controllo di sé,
altri ancora sacrificano il suono
e gli altri oggetti nei fuochi dei sensi;

tutte le attività dei sensi
e le attività dei soffi vitali altri sacrificano
in quel fuoco che è la disciplina interiore del controllo di sé,
acceso dalla conoscenza;

altri ancora offrono in sacrificio i propri beni,
le proprie penitenze, la propria disciplina interiore;
asceti rigorosi nell’osservanza dei voti
offrono in sacrificio lo studio delle sacre scritture e la conoscenza;

altri poi sacrificano il soffio inspirato nel soffio espirato
e il soffio espirato nel soffio inspirato,
arrestando alternatamente il flusso del prâna e dell’apâna,
interamente dediti al controllo del respiro;

altri, disciplinati nell’assumere cibo,
sacrificano i soffi vitali nei soffi vitali:
tutti costoro ben sanno che cos’è il sacrificio
e le loro colpe sono cancellate dal sacrificio.

Nutrendosi di quel cibo immortale che sono i resti del sacrificio,
essi vanno all’eterno Brahman.
Questo mondo non appartiene a chi non sacrifica:
come potrebbe appartenergli l’altro, o ottimo fra i Kuru?

Così sono di molti tipi i sacrifici
Che si possono compiere nella bocca del Brahman.
Sappi che essi scaturiscono tutti quanti dall’azione:
grazie a questa conoscenza sarai liberato.

Migliore del sacrificio di beni materiali
è il sacrificio che consiste nella conoscenza,
o distruttore di nemici. Ogni atto senza eccezione,
o figlio di Prthâ, culmina nella conoscenza.

Questo sappi: se umilmente ti prostrerai davanti a loro,
se li servirai e li interrogherai,
i sapienti che vedono la verità
t’insegneranno la conoscenza.

Quando l’avrai acquisita, o figlio di Pându,
più non cadrai in un simile smarrimento;
grazie a essa tu vedrai in te stesso, e anche in me,
senza eccezione, tutti gli esseri.

Se anche di tutti i malvagi
tu fossi il più gran malfattore,
grazie alla barca della conoscenza
certamente varcherai tutto l’oceano del male.

Come un fuoco fiammeggiante
riduce in cenere il combustibile, o Arjuna,
così il fuoco della conoscenza
riduce in cenere tutte le azioni.

Non esiste infatti, quaggiù,
uno strumento di purificazione che sia pari alla conoscenza;
la scopre da sé in se stesso, al momento giusto,
colui che ha raggiunto la perfezione nello yoga.

Ottiene la conoscenza colui che, pieno di fede,
a quella solo è intento e i propri sensi doma.
Ottenuta la conoscenza, ben presto
consegue la pace suprema.

(da Bhagavad-Gîtâ, cit., pp. 139-142)*

Riferimenti Bibliografici


- M. Biardeau, L’induismo. Antropologia di una civiltà, Milano, 1995;*
- G. Dumézil, Mito e epopea: la terra alleviata, Torino, 1982;*
- C. Malamoud, Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell’India antica, Milano, 2001.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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