Il sorriso dello Zaddik

Umorismo ebraico e tradizione chassidica

  • Daniela Leoni

    Docente di Lingua e letteratura yiddish - Università di Bologna

  • giovedì 26 Novembre 1998 - 17,30
Centro Studi Religiosi

L’umorismo ebraico è oggi un fenomeno che desta estremo interesse, poiché si impone per la sua peculiarità rispetto alle forme di comicità proprie di altre tradizioni. E’ un umorismo che solo a volte è davvero spensierato e gioioso, che solo raramente appare allegro e festoso. L’elemento che lo contraddistingue è infatti la natura sociale della sua comicità, che deriva prevalentemente i temi da quegli stessi avvenimenti storici che rendono tragica l’esperienza esistenziale ebraica. Così, anche quando il popolo ebraico è stato percosso e umiliato dal mondo circostante, esso pare trovare nel riso disincantato sul cosmo e su se stesso lo strumento per superare la miseria e la sofferenza che lo affliggono. E’ un riso quindi che “scaturisce dalle lacrime”, che nasce da una condizione di sofferenza e di miseria.
E’ un riso disilluso, che possiede una grande forza catartica, perché è capace di creare una distanza fra l’uomo e la sua vicenda quotidiana, di trasformarsi esso stesso in chiave interpretativa della realtà. In tal modo, l’ebreo si libera dal giogo della vita, che non lo potrà mai rendere suo schiavo, diventa capace di dominarla, di non lasciarsi sopraffare da essa anche quando le circostanze si fanno sempre più drammatiche e crudeli.

E’ questo l’umorismo di Sholem Aleichem e di Mendele Moicher Sfurim, di Isaac Leibush Peretz e di Moishe Nadir, di Josef Opatoshu e di Isaac Bashevis Singer, di quella letteratura cioè che si esprime nella lingua yiddish, e che si arricchisce già per questo di connotazioni uniche e originali all’interno dello stesso mondo ebraico. Questa letteratura, che non è esclusivamente comica, fa del riso uno strumento insostituibile per allontanare i fantasmi, le paure, le lacrime, per educare gli ebrei a riflettere sul loro destino, ma anche per rasserenare e allietare l’animo, elevare lo spirito e divertire. Essa attinge dall’umorismo popolare ebraico che si sviluppa verso la fine del XVIII secolo e che ha dato origine ad alcuni “personaggi comici” assai interessanti, come quelli che popolano la cittadina di Chelm, luogo leggendario abitato esclusivamente da figure di sciocchi, di ingenui e di sempliciotti, o come Herschel di Ostropol, una sorta di grande giullare ebraico, al quale tutti i successivi cantastorie ebrei paiono rassomigliare.

La comicità ebraica, anche quando è dissacrante nei confronti della religione, non è mai antireligiosa. Dio rimane sempre un Tu con il quale dialogare, al quale chiedere ragione della sofferenza e della umiliazione. E’ un Dio che si pone alla ricerca dell’uomo, che si lascia coinvolgere dalle vicende umane, che accetta il dialogo, anzi che accetta persino le lamentele e le accuse. E’ un Dio con il quale l’uomo può creare una intimità profonda, non una divinità che domina dall’alto e che rimane del tutto separata dalla creatura. Nel mondo dell’ebreo Dio è quindi una forza viva, una presenza che qualifica come positiva tutta l’esistenza, perché in essa egli si manifesta quotidianamente. Alla realtà l’uomo può pertanto guardare con ottimismo, ritrovando ogni giorno la possibilità di ridere di essa.

Un ruolo fondamentale in questo senso è stato svolto all’interno dell’esperienza religiosa ebraica dal chassidismo, che si afferma come movimento di rinascita spirituale nelle regioni polacche dell’impero russo nella prima metà del sec. XVIII. Rabbi Israel Baal Shem Tov, che ne è il fondatore, “bandì la malinconia dall’anima e scoprì la delizia ineffabile di essere ebreo. Dio non è solo il creatore della terra e del cielo. E’ anche colui che ha creato la delizia e la gioia” (A.J. Heschel, The Earth is the Lord’s. The Inner World of the Jew in East Europe, 1964). Pur non esaurendo l’intero mondo spirituale chassidico, la gioia diviene il centro della vita religiosa, perché, come dice Rabbi Bunam, “una preghiera gioiosa giunge al Signore, ma una preghiera di urla e lamenti è vana”. E ribadisce R. Israel Baal Shem Tov: “Recita i salmi con gioia e sarai liberato dal tuo peccato”, perché “la preghiera compiuta nella gioia è certamente più gradita a Dio della preghiera compiuta nella tristezza e nel pianto”.

Le comunità dell’Ostjudentum si nutrirono per circa due secoli di questo tipo di spiritualità; il chassidismo aveva infatti sostituito l’approccio intellettuale e un po’ arido dei rabbini con una visione della fede più semplice, più immediata, che permetteva anche all’uomo privo di istruzione o all’ebreo costretto a lavorare duramente per guadagnarsi il pane, di unire in ogni momento la sua anima a Dio. L’ebraismo sembrava essere nato a nuova vita, ringiovanito di mille anni: lo studio e la preghiera non vennero negati, anzi rimangono ancora oggi l’abito fondamentale del pio chassid; tuttavia ora anche le azioni più semplici e abituali, come il mangiare e il bere, il lavoro umile e misero, i rapporti famigliari, assumono in se stessi una valenza “mistica”: divengono cioè capaci di unire intimamente l’uomo al suo Creatore nella concretezza del quotidiano e dell’oggi e non nella fuga dal mondo verso una trascendenza assoluta e indefinita.

All’interno del chassidismo, singolare e unico rimane il ruolo svolto dallo zaddik, vera guida spirituale della comunità: egli solo è capace di sostenere e di rafforzare nella fede quanti si affidano a lui e di immettere anche l’uomo semplice e non istruito nella comunione con Dio e con il mondo celeste. I suoi insegnamenti educano i fedeli a vivere nella gioia, a condurre una vita tutta spesa nel fervore religioso. La santità degli zaddikim ebbe una tale risonanza che prestissimo i loro ammaestramenti e le loro azioni miracolose si fissarono in forma narrativa e il racconto di tale vicende assunse poco alla volta vero significato religioso. La gioia divenne sempre più la nota caratteristica delle singole comunità chassidiche, raggruppate oggi in corti, sotto la guida dei diversi zaddikim. E la vita nella corte dedica ampio spazio alla danza e al canto, così come alla narrazione di aneddoti, di storie miracolose, di episodi umoristici, con lo scopo dichiarato di suscitare nell’animo dei discepoli fervore religioso e desiderio di servire Dio nella gioia: scaturisce da ciò una visione ottimistica e gioiosa dell’esistenza, che in quanto donata da Dio deve essere vissuta nella totalità delle sue espressioni, senza fratture fra esperienza quotidiana e pietà religiosa.

Il chassidismo non poteva sviluppare l’umorismo nel senso moderno del termine, ma il sorriso dello zaddik divenne nei secoli stile di vita e chiave interpretativa del reale. Senza di esso sarebbe impossibile comprendere le forme variegate attraverso le quali l’umorismo ebraico seppe evolversi nei secoli; senza di esso non sarebbe possibile comprendere il cabaret yiddish di Moni Ovadia o la comicità ironica e sottile di Woody Allen.

Riferimenti Bibliografici


La letteratura yiddish

- Sh. Aleichem, La storia di Tewje il lattivendolo (T. der milkiger, 1894), Roma, 1928;
- Id., Racconti della shtetl, Milano, Bompiani, 1982;
- Il meglio dei racconti yiddish (A Treasury of Yiddish Stories, New York 1953), a cura di I. Howe e E. Greenberg, 2 voll., Milano, Mondadori, 1985;
- Jüdische Witze, a cura di S. Landmann, München, 1979;
- Nuove storielle ebraiche, a cura di F. Fölkel, Milano, Rizzoli, 1996;
- M.M. Sfurim, Fishke lo zoppo (F. der krumer, Zhitomir 1869), Casale Monferrato, Marietti, 1984;
Id., I viaggi di Beniamino Terzo (Kizur maisses Binjamin hashlishi, Zhitomir 1879), Casale Monferrato, Marietti, 1983;
- Storielle ebraiche, a cura di F. Fölkel, Milano, Rizzoli, 1988.

Chassidismo

a) le opere

- M. Buber, I racconti dei chassidim (Die Erzählungen der Chassidim, Zurigo 1949), Milano, Garzanti, 1979;*
- Y. Eliach, Non ricordare... Non dimenticare (Hasidic Tales of the Holocaust, New York 1982), Roma, Città Nuova, 1992;
- A.J. Heschel, La terra è del Signore. Il mondo interiore dell'ebreo in Europa orientale (The Earth is the Lord's. The Inner World of the Jew in East Europe, London-New York, Toronto, Abelard-Schuman, 1964), Genova, Marietti, 1989;
- I maestri del chassidismo. Insegnamento, vita, leggenda. I: Israel Baal Shem Tov; Dov Bär di Meseritz, a cura di D. Leoni, Roma, Città Nuova, 1993;*
- La comunità chassidica. Storie sul Baal Shem Tov, a cura di D. Leoni, Roma, Città Nuova, 1989;*
- J. Langer, Le nove porte (Devet bran. Chasidu tajemstvi, 1937), Milano, Adelphi, 1982;
- D. Lifschitz, La saggezza dei chassidim, Casale Monferrato, Piemme, 1995.
- Nachman di Breslav, La principessa smarrita (Sippure maasijjot, 1815), a cura di G. Limentani e Sh. Bahbout, Milano, Adelphi, 1981.*
- Jakov Josef di Polonnoje. Elimelech di Lizensk, a cura di D. Leoni, Roma, Città Nuova, 1997.
- E. Wiesel, Celebrazione hassidica (Célèbration hassidique, Parigi 1972), Milano, Spirali, 1983.*
- Id., Credere o non credere (Signes d'exode, Paris-New York 1985), Firenze, Giuntina, 1986.

b) gli studi

- S. H. Dresner, The Zaddik, New York 1974.
- S. Dubnow, Geschichte des Chassidismus, 2 voll., Berlin 1931.
- A. Mandel, La via del chassidismo (La voie du hassidisme, Parigi 1963), Milano, Longanesi, 1965.*
- G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica (Die jüdische Mystik in ihren Hauptströmungen, Zurigo 1957), Milano, Il Saggiatore, 1965.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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