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La conferenza intende fornire un contributo storico, secondo la prospettiva della sociologia dell’arte, che renda possibile comprendere come l’arte e gli artisti abbiano potuto ottenere una particolare posizione privilegiata all’interno dei sistemi sociali fondati sul socialismo di Stato. In questo modo è possibile anche individuare una chiave per la comprensione dei cambiamenti sociali – in particolare della cultura tedesca dopo il 1945 – e dei processi di trasformazione fino alla dissoluzione dell’impero sovietico. In rapporto all’ampliamento del mercato dell’arte e all’esposizione mediatica dei processi artistici tipici dell’Occidente, e rispetto alle avanguardie (attive per breve tempo anche in Unione Sovietica), il «feudalesimo culturale» della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) appare come uno straordinario anacronismo che si oggettiva nel progetto di uno «Stato artistico» di tipo socialista. Questa espressione è del tutto giustificata se si pensa che dopo il 1990 la maggior parte delle artiste e degli artisti della DDR pensavano che, in una società pluralistica, l’arte avesse perso il suo significato: ora essa non costituirebbe più una fondamentale ricerca di senso, ma sarebbe semplicemente una forma di intrattenimento o un ornamento estetico-culturale della società. Dopo il 1990 infatti il “risveglio” si dimostra essere molto più complicato di quanto non avesse creduto la maggioranza durante la prima euforia. Le percezioni reciprocamente contrapposte di tale capovolgimento hanno condotto a una “svolta” rispetto al dibattito tedesco sulle immagini (dibattito tra Est e Ovest) che è diventato un discorso sostitutivo del più generale discorso sul processo di riunificazione della Germania.