Lo straniero

Teorie dell'ospitalità e dell'inimicizia nella cultura filosofica

  • Umberto Curi

    Professore emerito di Storia della filosofia - Università di Padova

  • venerdì 04 Ottobre 2013 - 17.30
Centro Culturale

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Nelle lingue indoeuropee il termine che designa lo straniero contiene contemporaneamente in sé l’intero repertorio delle accezioni semantiche dell’alterità, e cioè il forestiero, l’estraneo, il nemico, ma anche lo strano, lo spaesante; in una parola, tutto ciò che è altro da noi, anche se con noi viene comunque in rapporto. Questa indistinzione di significati risulta con particolare evidenza dai termini che ritroviamo in latino e greco, e che poi ricompaiono, sia pure con variazioni lessicali e semantiche significative, anche in alcune lingue moderne. In latino, per un lungo periodo, straniero si dice hostis. Contrapposto al cittadino, all’in-genuus, a colui che appartiene per nascita, dunque per sangue e cultura, alla comunità originaria di riferimento, il termine hostis, che indica lo straniero, concentra in sé tutte le figure dell’alterità, senza tuttavia coincidere affatto – come accadrà invece molto più tardi – con una caratterizzazione “ostile”, senza cioè riferirsi unicamente a chi venga dall’esterno con intenzioni “bellicose”. Dell’originaria polivalenza del termine hostis troviamo un’esplicita testimonianza in un passo del De officiis, nel quale Cicerone ricostruisce il processo storico che ha condotto a sovrapporre al termine hostis quel significato di inimicus, o perduellis (e cioè “nemico pubblico”), che è invece assente nell’accezione primitiva dello straniero-hostis. «Voglio anche osservare – scrive infatti l’autore latino – che chi doveva chiamarsi con vocabolo proprio perduellis [nemico di guerra] era invece chiamato hostis [straniero] temperando così con la dolcezza della parola la durezza della cosa. Difatti i nostri antenati chiamavano hostis quello che noi oggi chiamiamo peregrinus [forestiero]».(…)
Tanto in greco quanto in latino il convergere in un unico termine, e in un unico concetto, delle figure che compongono l’alterità, implica che lo xenos-hostis, originariamente “straniero”, sia anche – e, inoltre, storicamente diventi – il nemico. Ciò significa che se la riduzione unilaterale dell’hostis a nemico contraddice la polivalenza semantica originaria del termine, per la quale l’hostis è insieme straniero, ospite e nemico, allo stesso modo la cancellazione del carattere potenzialmente ostile dell’hostis, in nome di un privilegiamento esclusivo del suo carattere di ospite, dissolve una caratteristica che viceversa non può essere soppressa. Al contrario, nella relazione con l’altro l’ambivalenza con la quale esso mi si presenta resta fondamentale e ineliminabile. Da un lato lo straniero mi fa dono della mia identità, dall’altro può svolgere questa funzione, può regalarmi il mio essere quello che sono, non perché mi sia univocamente ed esclusivamente amico, ma proprio perché è, in se stesso e irresolubilmente, anche nemico. Intrinsecamente duplice, come hostis-hospes, lo straniero è altrettanto duplice quanto ai suoi effetti, perché consente la posizione e il riconoscimento dell’identità specifica di chi entri in rapporto con lui, proprio attraverso l’apertura di una massima divaricazione fra il sé e l’altro. Ciò che mi consente di riconoscermi nella mia peculiare individualità è lo stesso che mi fa sentire in pericolo nella possibilità di conservarla.

(da U. Curi, Straniero, Milano, Raffaello Cortina, 2010, pp. 57, 81)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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