Paolo e la politica

Tra realtà storica e reinterpretazioni ecclesiologiche

  • Mauro Pesce

    Professore di Storia del cristianesimo - Università di Bologna

  • martedì 25 Ottobre 2005 - 17.30
Centro Studi Religiosi

[…] Paolo afferma la necessità di obbedire alla exousía, cioè a chi detiene il potere in quel momento. La giustificazione dell’obbedienza è assolutamente teo-logica: «Infatti non c’è exousía se non da parte di Dio». Proposizione che non va intesa nel senso di una dottrina di diritto naturale, nè di diritto divino della sovranità. Paolo semplicemente afferma, e radicalmente, che qualsiasi potere, per il solo fatto di essere tale, cioè di essere solido e affermato, è tale perchè così Dio ha disposto in quel momento. […] Paolo salta completamente il problema che oggi chiameremmo della legittimità del potere. Non c’è questione alcuna se la exousía sia legittima o meno. Essa semplicemente c’è. E questo solo fatto dimostra che Dio la permette. […] Il credente è totalmente obbediente. Ma bisogna intendersi sulla natura di questa obbedienza. Il termine che Paolo usa non è obbedienza (ypakoē), ma sottomissione («sia sottomesso», «sottomettersi» = ypotássesthai). La sottomissione è cioè, negativamente, assenza di ribellione: assenza di disobbedienza individuale o di azioni di ribellione tendente al rovesciamento del potere esistente. Positivamente significa stare sempre alle decisioni che l’autorità prende. Ma non essendo ypakoē, non implica un’adesione interiore, una condivisione degli scopi dell’autorità. È per questo che la sottomissione si può accordare anche con la convinzione di essere puniti ingiustamente e che quel determinato atto dell’autorità sia contro la legge di Dio, sia empio. Ciononostante il credente sta ugualmente sottomesso, perché all’autorità egli deve comunque sottomissione come a fatto dovuto da Dio. È per questo che egli, di fronte a un potere che lo vuole costringere ad atti in contrasto con la propria fede, o che lo punisce ingiustamente, o perfino lo condanna a morte, mantiene insieme sia l’obbedienza alla volontà di Dio (ypakoē) che lo spinge a perseverare nel comportamento che provoca la reazione del potere politico, sia la sottomissione al potere che lo punisce per quel comportamento.
(da M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo, EDB, Bologna, 1994, pp. 249-50).

Riferimenti Bibliografici


– J. Neusner, From Politics to Piety, Ktav, New York, 1978;
– F. Parente, Il pensiero politico ebraico e cristiano, in G. Barbero (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, diretta da L. Firpo, vol. II, Utet, Torino, 1985;*
– P. Prodi – L. Sartori (a cura di), Cristianesimo e potere, Istituto di scienze religiose di Trento, Bologna, 1986.

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