Società sostenibili

Paradigmi economici e riforma del welfare nelle politiche europee

  • Paolo Bosi

    Professore di Scienza delle finanze - Università di Modena e Reggio Emilia

  • venerdì 05 Marzo 2004 - 17,30
Centro Culturale

Perché è così difficile attuare le riforme nel campo del welfare state? Come si sono intrecciati i tentativi di rispondere a queste sfide dei modelli di welfare con l’evoluzione delle relazioni industriali e in particolare delle politiche dei redditi? L’esperienza storica mostra che riforme rapide dei sistemi di welfare e delle relazioni industriali sono difficili e improbabili. Esping-Andersen ricorre al concetto di path-dependence per darne una spiegazione: una volta costituiti, i sistemi di welfare diventano rigidi. Spesso infatti comportano patti impliciti di lunga durata, si pensi ad esempio ai sistemi pensionistici, che non è facile rettificare. Hemerick utilizza la categoria del “cambiamento politico istituzionalmente limitato”. Si tratta di una tesi più ottimistica sulla capacità dei sistemi di mostrare elasticità di risposta ai cambiamenti istituzionali esterni, ma con risposte variabili, in dipendenza del manifestarsi di shock esogeni di rilievo, alle diverse concezioni nazionali dei sistemi di welfare e delle diverse strutture dei processi decisionali politici. Per i paesi europei non è però mai sottolineato a sufficienza l’impatto che sulla rapidità dei processi di mutamenti ha l’assenza di un unico modello di welfare, che rende molto difficile fornire indicazioni comuni e svolgere esercizi di politica comparata. Così come appare rilevante e difficilmente modificabile nel breve periodo la visione sulla natura dei welfare, che appare molto differenziata non solo nel confronto continentale tra Usa ed Europa, ma anche all’interno dei diversi contesti nazionali europei. La difficoltà di cogliere la rilevanza di queste specificità di fondo è alla base della scarsa produttività del dibattito tra modello americano e modello europeo, che pure ha dominato la discussione sulle cause della disoccupazione per un intero decennio. Un altro aspetto più sottile e forse più importante per spiegare confusione e lentezze del dibattito sulla riforma del welfare è l’intreccio tra lavoro di mercato e attività non di mercato e le implicazioni che esso ha nei processi di immigrazione che investono i paesi del nord del mondo. La discussione sullo sviluppo è infatti sempre più inficiata dall’inidoneità dei tradizionali indicatori di performance economica (il Pil, il tasso ufficiale di occupazione, la dinamica della produttività dei fattori) a registrare fenomeni reali, in un mondo in cui la presenza di attività non di mercato è altrettanto ampia di quella che è intermediata dal mercato, in cui lo sviluppo dell’economia dei servizi ha drammaticamente ridotto la possibilità di misurare la produttività.

Riferimenti Bibliografici

- A.B. Atkinson, Welfare state. Le conseguenze economiche dei tagli allo stato sociale, Milano 2000; - A. Giddens, La terza via, Milano 1999;* - E. Gorrieri, Parti uguali fra diseguali, Bologna 2002;* - M. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana, Bologna 2002;* - A. Sen, Lo sviluppo è libertà, Milano 2000.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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